Economia – È ora scienza e pratica capitalista. Secondo
la vecchia terminologia, in attesa di una nuova definizione – ammesso che ora
siamo tutti borghesi(ma non è vero).
Mai sarà
stata dominante come in questo post-Novecento. Tutto ha un prezzo, anche la
cultura. E non solo il monumento o opera d’arte, anche la parola: la lettura,
la discussione, la…. Nella crisi si è fatto colpa alla Grecia di avere
mantenuto il patrimonio antico – “ha speso troppo” – invece di felicitarsene, e
proposte non irrazionali sono state avanzate di ridurre il debito privandosene.
Lo stesso si è tentato di fare in Italia, con minore credibilità: troppo
demanio, troppi musei, troppa cure, troppe spese inutili. Nel mentre che si dà
un valore anche al frivolo e al triviale: l’immobiliare in Qatar, le reti
sociali, il bisogno di comunicare, l’interminato mercato dei derivati finanziaria,
il debito privato (la leva finanziaria).
È un
fatto ma è anche un’ideologia. L’economia è sempre la stessa del Settecento,
dei suoi classici, scienza triste e ancillare – subordinata, utile,
strumentale. Ma è anche quella della critica del capitalismo: ha bisogno di
riprodursi allargata. Usava dire in termini critici della borghesia, ed è ora
il fatto – la borghesia al comando.
Ciò
porta a un disegno – tutto si tiene anche senza un agente. Che è peraltro in
evidenza. Poiché lo scambio socioeconomico – il gioco – non può essere che a
somma zero, ci dev’essere sempre qualcuno che paga per qualcun altro. Se è
molto accrescitivo, come si presume del mercato, è anche più severamente
afflittivo.
Immaginazione - È il proprio dell’uomo, tra il pianto e il riso. Perché è
ciò che fa l’uomo, nelle forme della logica e della fantasia. Che null’altro
nella natura contiene.
Logica – È la scienza del non essere. Tra la storia e l’incoerenza
- incertezza.
Nella
logica nulla è reale. Nulla avviene, tutto si dissolve, in perfezionamenti.
Materia – È dove Voltaire l’ha lasciata: “Conosciamo
molto imperfettamente la materia,. Ed è impossibile avere un’idea distinta di
ciò che non è materia” – Trattato sulla tolleranza”, nota 59.
Memoria – Decade e a livello individuale, psicologico,
per i supporti dell’elettronica, ora anche mobili. Socialmente e storicamente –
come trend – decade con la famiglia.
Col figlio unico, che riduce ormai da tre generazioni le ramificazioni. Sostituite
in parte dalla famiglia allargata, il cui effetto è pero di ulteriore
cancellazione della memoria, per la macchinosità, e per le scarse o irrilevanti
esperienze comuni. La moltiplicazione delle autofiction,
con i selfie e la mania
fotografica, è più un’agonia che una
nascita.
Più
spesso che non la famiglia finisce in cenere. Senza più cioè un nome, un luogo,
un’immagine della memoria, senza più ricorrenze per stimolarla. Per motivi
economici, per evitare il funerale, il cimitero, la tomba, ma infine
psicologici, per recidere un legame. Quando fu introdotta in Cina per motivi
economico-igienici, negli ultimi anni di Mao e delle Guardie Rosse, che polverizzavano
anche i monumenti per ricavarne calce, l’incinerazione fu avversata dai
contadini, anche con gravi rischi, perché eliminava la memoria familiare.
Mito - Tutto, a fine Ottocento, era demi: demi-monde (Dumas figlio), demi-vierge (Prévost), demi-ton, demi-regard, e c’era
anche un demi-castor, di genere femminile. Abbiamo avuto il mini, all’epoca del
gigantismo (fusioni, incorporazioni, conglomerati). Poi, all’epoca del “piccolo
è bello”, abbiamo avuto il maxi.
Ora, all’epoca del mercato, abbiamo l’etica. Piccole mitologie. Il mito è ciò
che manca?
Morte – È la morte della morte, per
nessun motivo, sia pure deludente (l’età, la malattia), altro che il numero,
sotto l’atomica o nella camera a gas. Dove morirono, è bene ricordarlo, non
tutti gli ebrei, alcuni: i non ricchi e i non maneggioni. O nell’eutanasia, nel
tanto parlare che ora si fa della morte.
Per un
credente può non cambiare nulla. Ma la morte della morte è la fine di ogni
altro significato della vita.
L’argomento
dell’eutanasia è in Seneca, “Troadi”, dal coro alla fine del secondo atto:
“Dopo la morte non c’è nulla e la morte stessa è nulla”. Con tutta la superbia
del nichilismo. In Seneca che si vuole archetipo del saggio.
Paternità - E se fosse il padre a perdere il figlio, o la madre? Riproducendosi
in lui ribelle, traditore, futile. Con tutto il rispetto, il Cristo in croce è
un figlio, uno come tanti: senza bussola, né mete verso cui orientarsi,
ambizioni, progetti.
Ai genitori i figli devono molto, la
tristezza tutta.
È arduo evidentemente l’amore paterno,
solo Omero gli dà corpo. Più di quello materno, che se non altro produce elegia
e filosofia.
Ma i genitori non possono non esserci, e
guai se non ci sono. Sarà vero che a quindici anni si è in fuga, pure dal
padre, ma il contrario è pure vero: l’identità non è qualcosa che si possiede,
non è una penna o la bici, immutabile benché diversa, caratterizzata, e confrontarsi
serve, a riscoprire e ricostruirsi.
Si ripete che non bisogna dire bugie ai
ragazzi che le dicono in continuazione. E non li si sanziona: si vuole che si
puniscano, che crescano contro se stessi. L’uomo resta così incorreggibile
genealogista, sempre alla ricerca del padre. “Il tu è più vecchio dell’io”,
Nietzsche l’ha scoperto: è l’esistenza dell’altro, il padre per primo, che dà
coscienza dell’io. Neppure Gesù gradì essere abbandonato.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento