martedì 23 settembre 2014

Secondi pensieri - 189

zeulig

Economia – È ora scienza e pratica capitalista. Secondo la vecchia terminologia, in attesa di una nuova definizione – ammesso che ora siamo tutti borghesi(ma non è vero).
Mai sarà stata dominante come in questo post-Novecento. Tutto ha un prezzo, anche la cultura. E non solo il monumento o opera d’arte, anche la parola: la lettura, la discussione, la…. Nella crisi si è fatto colpa alla Grecia di avere mantenuto il patrimonio antico – “ha speso troppo” – invece di felicitarsene, e proposte non irrazionali sono state avanzate di ridurre il debito privandosene. Lo stesso si è tentato di fare in Italia, con minore credibilità: troppo demanio, troppi musei, troppa cure, troppe spese inutili. Nel mentre che si dà un valore anche al frivolo e al triviale: l’immobiliare in Qatar, le reti sociali, il bisogno di comunicare, l’interminato mercato dei derivati finanziaria, il debito privato (la leva finanziaria).
È un fatto ma è anche un’ideologia. L’economia è sempre la stessa del Settecento, dei suoi classici, scienza triste e ancillare – subordinata, utile, strumentale. Ma è anche quella della critica del capitalismo: ha bisogno di riprodursi allargata. Usava dire in termini critici della borghesia, ed è ora il fatto – la borghesia al comando. 
Ciò porta a un disegno – tutto si tiene anche senza un agente. Che è peraltro in evidenza. Poiché lo scambio socioeconomico – il gioco – non può essere che a somma zero, ci dev’essere sempre qualcuno che paga per qualcun altro. Se è molto accrescitivo, come si presume del mercato, è anche più severamente afflittivo.

Immaginazione - È il proprio dell’uomo, tra il pianto e il riso. Perché è ciò che fa l’uomo, nelle forme della logica e della fantasia. Che null’altro nella natura contiene.

Logica – È la scienza del non essere. Tra la storia e l’incoerenza - incertezza.
Nella logica nulla è reale. Nulla avviene, tutto si dissolve, in perfezionamenti.

Materia – È dove Voltaire l’ha lasciata: “Conosciamo molto imperfettamente la materia,. Ed è impossibile avere un’idea distinta di ciò che non è materia” – Trattato sulla tolleranza”, nota 59.

Memoria – Decade e a livello individuale, psicologico, per i supporti dell’elettronica, ora anche mobili. Socialmente e storicamente – come trend – decade con la famiglia. Col figlio unico, che riduce ormai da tre generazioni le ramificazioni. Sostituite in parte dalla famiglia allargata, il cui effetto è pero di ulteriore cancellazione della memoria, per la macchinosità, e per le scarse o irrilevanti esperienze comuni. La moltiplicazione delle autofiction, con i selfie e la mania fotografica,  è più un’agonia che una nascita.
Più spesso che non la famiglia finisce in cenere. Senza più cioè un nome, un luogo, un’immagine della memoria, senza più ricorrenze per stimolarla. Per motivi economici, per evitare il funerale, il cimitero, la tomba, ma infine psicologici, per recidere un legame. Quando fu introdotta in Cina per motivi economico-igienici, negli ultimi anni di Mao e delle Guardie Rosse, che polverizzavano anche i monumenti per ricavarne calce, l’incinerazione fu avversata dai contadini, anche con gravi rischi, perché eliminava la memoria familiare.

Mito - Tutto, a fine Ottocento, era demi: demi-monde (Dumas figlio), demi-vierge (Prévost), demi-ton, demi-regard, e c’era anche un demi-castor, di genere femminile. Abbiamo avuto il mini, all’epoca del gigantismo (fusioni, incorporazioni, conglomerati). Poi, all’epoca del “piccolo è bello”, abbiamo avuto il maxi. Ora, all’epoca del mercato, abbiamo l’etica. Piccole mitologie. Il mito è ciò che manca?

Morte – È la morte della morte, per nessun motivo, sia pure deludente (l’età, la malattia), altro che il numero, sotto l’atomica o nella camera a gas. Dove morirono, è bene ricordarlo, non tutti gli ebrei, alcuni: i non ricchi e i non maneggioni. O nell’eutanasia, nel tanto parlare che ora si fa della morte.
Per un credente può non cambiare nulla. Ma la morte della morte è la fine di ogni altro significato della vita.

L’argomento dell’eutanasia è in Seneca, “Troadi”, dal coro alla fine del secondo atto: “Dopo la morte non c’è nulla e la morte stessa è nulla”. Con tutta la superbia del nichilismo. In Seneca che si vuole archetipo del saggio.

Paternità - E se fosse il padre a perdere il figlio, o la madre? Riproducendosi in lui ribelle, traditore, futile. Con tutto il rispetto, il Cristo in croce è un figlio, uno come tanti: senza bussola, né mete verso cui orientarsi, ambizioni, progetti.

Ai genitori i figli devono molto, la tristezza tutta.

È arduo evidentemente l’amore paterno, solo Omero gli dà corpo. Più di quello materno, che se non altro produce elegia e filosofia.

Ma i genitori non possono non esserci, e guai se non ci sono. Sarà vero che a quindici anni si è in fuga, pure dal padre, ma il contrario è pure vero: l’identità non è qualcosa che si possiede, non è una penna o la bici, immutabile benché diversa, caratterizzata, e confrontarsi serve, a riscoprire e ricostruirsi.

Si ripete che non bisogna dire bugie ai ragazzi che le dicono in continuazione. E non li si sanziona: si vuole che si puniscano, che crescano contro se stessi. L’uomo resta così incorreggibile genealogista, sempre alla ricerca del padre. “Il tu è più vecchio dell’io”, Nietzsche l’ha scoperto: è l’esistenza dell’altro, il padre per primo, che dà coscienza dell’io. Neppure Gesù gradì essere abbandonato.

zeulig@antiit.eu

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