La
“riforma” che non si fa è quella che più pesa sul futuro, anche prossimo. Agli
effetti del fisco, della previdenza, dell’istruzione, del mercato degli affitti
e dell’edilizia abitativa naturalmente, e dell’ordine pubblico: un diritto dell’immigrazione.
Che semplifichi la stabilizzazione di questa massa, agli effetti della
residenza o del permesso di soggiorno, e della cittadinanza attiva. Per un
dovere civico ma anche per un interesse pratico, di ordine (istruzione, sanità,
relazioni interindividuali) e di economia.
Al
primo gennaio erano presenti in Italia per l’Istat “regolarmente” 3.874.726
cittadini non comunitari. E gli irregolari, saranno stati un milione? Mettiamo
mezzo milione: ci sono in Italia stabili 4,5 milioni di cittadini extra Ue. Più
un milione di rumeni, altra cifra esatta. Più i polacchi, i bulgari, gli
slovacchi, mettiamo mezzo milione. Ci sono in Italia, quasi tutti regolarizzati,
sei milioni di stranieri. Il decimo della popolazione.
Da
considerare ormai stabili.
Sentire
al mercatino matrone africane toscaneggiare, o napoletaneggiare, non è più una
curiosità, è un modo di essere – molte attività sono ormai di immigrati. Anzi,
più che una curiosità, è un modo d’essere, di assetti socio-economici sempre
meno marginali molti ambulanti sono già negozianti, molti manovali sono
imprenditori, molti operai padroncini. Non ultimo per l’effetto demografico: la
percentuale di popolazione “non italiana” è la sola che s’incrementa, mentre
quella autoctona si contrae. Ed è anche la sola valvola di possibile sviluppo
economico.
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