venerdì 19 settembre 2014

Una crisi per la Germania

C’è, non c’è, non ci sarà, ci sarà, ma non è un disguido burocratico: la conferenza Ue di Milano, decisa a fine agosto, su lavoro e sviluppo, Angela Merkel non la vuole, e quindi non si farà. Cioè si farà, ma senza decidere nulla. Così come sarà dell’impegno coevo di finanziare lo sviluppo con 300 miliardi.
Il governo di Berlino, benché ne sia mutata la composizione, non ha cambiato natura: resta sempre il governo della deflazione. Dal centro-destra Angela Merkel è passata al centro-sinistra, ma senza effetto: i socialisti, che promettevano il rilancio dell’economia e dell’occupazione in Europa, non se ne occupano. Continua il vecchio regime, del rigore fiscale e delle politiche deflattive. Mascherate dalle fantomatiche “riforme” da fare, ma ora e di fatto deflattive.
Non c’è dubbio che questa politica è svantaggiosa per l’Europa. Lo era teoricamente, ora si vede nei numeri. Il continente è in deflazione, con l’Italia in recessione, mentre il resto del mondo da tempo si è liberato degli effetti della crisi finanziaria del 2006-2007 e ha ripreso a crescere. E lo è perché mancano politiche macroeconomiche di rilancio della domanda, in parte anche dell’offerta. È però una politica vantaggiosa per la Germania, e il suo nucleo nordico. Che ne soffre ma meno degli altri, e quindi consolida la sua posizione relativa, di vantaggio comparato - quella che in Germania si chiama da qualche anno “egemonia”. E che a questo punto è il disegno di Angela Merkel: lavorare per un’Europa tedesca. A medio termine, all’uscita dalla crisi, la posizione tedesca sarà dominante per se

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