sabato 13 settembre 2014

Vita breve e intensa di Draghi al Tesoro

È il sesto volume, secondo tomo “Le testimonianze”, delle opere complete di Guido Carli. Federico Carli, economista, nipote, raccoglie quarantacinque testimonianze sull’ex governatore e ministro del Tesoro. Non c’è Scalfari ed è un peccato, poiché è quello che più convinto sostiene la “grandezza” dell’ex governatore. E con cognizione di causa, avendone a più riprese tradotto in volgare il pensiero con lo pseudonimo di Bancor. Nonché sostenuto la “linea Lombardi-Carli”, il primo vero centro-sinistra. Ma almeno due presenze sono notevoli, quelle di Sarcinelli e di Draghi. Quest’ultima soprattutto.
Come nacque il debito
Mario Sarcinelli dà il contributo più esteso, aneddotico, affettuoso. Ma sostenendo tutto e il contrario. Che Andreotti è “un grande politico”. Che “si approfittava” di Carli, del suo credito internazionale - lo stesso Andreotti che silurò Sarcinelli due volte, alla Banca d’Italia e poi al Tesoro e alla Sace, la prima volta mandandolo anche in prigione. Che la sua evizione nel 1991, dalla Sace e dal Tesoro, fu opera dei socialisti e non di Carli, il suo ministro. Anzi nemmeno dei socialisti, di De Michelis. Anzi no, che fu lui stesso in realtà a voler lasciare la direzione generale del Tesoro, avendo coperto nel suo decennio, dal 1982 al 1991, la moltiplicazione del debito pubblico, che da allora ingessa l’Italia.
Draghi è rapido e preciso. Figlio di un funzionario della Banca d’Italia, così si biografizza, liquidatore con Menichella della Banca di Sconto, poi in Bnl. Uno che ha viaggiato con Menichella quando aveva cinque anni, e ha conversato con Carli quando ne aveva sedici. Laureato con una tesi sul piano Werner, con Federico Caffè, Col quale concordò che il piano non poteva funzionare perché teneva conto, non a sufficienza, della diversità dei sistemi di spesa e fiscali dei paesi aderenti.
La svalutazione
In realtà il piano Werner ne teneva conto: una politica monetaria comune, diceva, non può prescindere dall’armonizzazione delle politiche fiscali. Ma è importate che Draghi lo ricordi oggi in modo critico, da presidente della Bce. È un altro modo per dire che la Banca centrale europea è un animale spurio, che la Ue è sempre molto divisa e che l’euro così com’è non può funzionare.
Draghi dice, sempre in breve, un’altra cosa importantissima. Nel 1992, direttore generale del Tesoro, presiedeva a un vasto programma di emissione di titoli pubblici predisposto da Carli nel 1991. Ma fiutava, dice, che “qualcosa sarebbe successo al cambio della lira”, e sconsigliò le emissioni ai grandi investitori stranieri, suscitandone le ire. Lo racconta per lo spirito cinico cui anche Carli indulgeva, e per dire l’impotenza spesso, anche delle migliori intenzioni, di fronte ai fatti. Ma i banchieri, poi lo ringraziarono? E l’Italia?
Il vincolo esterno
Nello stesso spirito cinico Draghi configura la teoria e la pratica del “vincolo esterno”. Consolidato a Maastricht da Carli, e dallo stesso Draghi, al punto da diventare iugulatorio. L’Italia veniva da una pratica europea nella quale prendeva a cuor leggero impegni gravosi, anche contrari ai propri interessi, seppure nel quadro della superiore “convenienza europea” (“tenersi aggrappati alle Alpi”, consigliava l’Avvocato Agnelli), confidando che il “vincolo esterno” l’avrebbe poi costretta a soddisfarli. Carli disprezzava i politici italiani – ebbe parole di elogio  solo per Craxi e i suoi “rottamatori”. Disprezzava la pratica “schizofrenica”, dice Draghi, dei governi italiani, e “sperava nell’azione del vincolo esterno”.
Andreotti sapeva
Notevolissima è la  breve testimonianza anche per la contiguità, del resto giusta, fra il Tesoro e il governo, il capo del governo. Che nel 1991, quando Draghi divenne direttore generale del Tesoro, era Andreotti. Per quindici mesi, dall’assunzione della carica a marzo del 1991, fino a giugno 1992 e al trattato di Maastricht, Draghi passò due giorni a settimana a Bruxelles a discutere l’euro. A ogni ritorno, su consiglio di Carli, riferiva a Andreotti. Che Draghi ricorda come “rappresentante massimo della Democrazia Cristiana europea, al livello di Kohl”.
Draghi aveva sostituito al Tesoro Mario Sarcinelli. Il direttore del Tesoro era anche presidente della Sace, l’agenzia allora pubblica che controassicurava le banche sulle esportazioni. Fu severo, dice Draghi, e si volle (Andreotti e Carli vollero, n.d.r.) sostituirlo. Non autorizzava le coperture Sace perché le pratiche delle banche erano insufficienti o carenti, spesso per nascondere la costituzione di fondi neri all’estero – questo Draghi non lo dice ma si sa. Le banche protestavano, gli esportatori pure, Sarcinelli fu rimosso da presidente della Sace, e quindi da direttore generale del Tesoro, e Draghi gli subentrò. Ma “per tutto il 1991”, allude, la Sace non autorizzò nessuna pratica.
Il tratto più importante di Carli, in queste e nelle altre testimonianze, è il suo credito internazionale. Accumulato nel dopoguerra, all’Unione europea dei pagamenti. E alimentato dalle lingue: Carli, parlando inglese, tedesco e francese, partiva in vantaggio con qualsiasi interlocutore.
Federico Carli, a cura di, La figura e l’opera di Guido Carli, Bollati Boringhieri, pp. CI + 758, ril. € 60 

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