Il condono
mafioso
È
un’ipotesi satirica che avevamo affacciato nel 1993, il libro “Fuori l’Italia
dal Sud. Come risolvere la questione meridionale”, assortendo di un: “E con il CONDONO
MAFIOSO. Come risolvere la questione Italia”. Nel 1993, quando si diceva che la
mafia era invincibile. Né se ne può parlare con una criminalità sempre diffusa
e pericolosa. Ma il fatto resta: le mafie sono espressioni anche macroscopiche
di energia. Esprimono delittuosamente un bisogno e anche un diritto di essere. Queste
stesse energie, se canalizzate opportunamente, prima che diventino preda di
capi assurdamente sanguinari come Riina o Cutolo, possono – debbono potersi – applicare a buon
fine. Il Sud non è una spirale che si avvita su se stessa, di malaffare. È un
imbuto, dal fondo del quale, per quanto ci si agiti, non si vede la luce.
L’ipotesi
di un recupero delle energie che finiscono nel delitto è meno scandalosa con
due esempi. Quello dell’ex Urss, dove banditi di piccolo e grande passo, che si
appropriavano di giacimenti, miniere, banche e industrie pubbliche, e si
eliminavano col tritolo, col kalashinikov e anche col bazooka, sono diventati oligarchi, e poi a mano a mano imprenditori
affidabili, con sede nella City, il plus della rispettabilità. Tutto nell’arco
di una generazione. Negli Usa la dinastia più blasonata, i Kennedy, sono
progenie di un nonno contrabbandiere di alcol, con legami di mafia ben più stretti
che il concorso esterno in associazione mafiosa, e anzi dell’associazione stessa.
Il che non impedì al nonno Joseph di diventare ambasciatore a Londra, l’ambasciata
allora più importante, nominato dal presidente americano forse più rispettato,
Franklin Delano Roosevelt. E padre del presidente Ted, e del quasi presidente Robert.
Poi divenuti martiri e icone della democrazia americana. Un terzo esempio, minimo ma inequivocabile, si può aggiungere: Evo Morales, il presidente modello della Bolivia, era un coltivatore di cocaina.
Un
caso non eccezionale, quello dei Kennedy. Tutto il grande capitale americano si
è generato nella violenza, anche fisica, contro la persona. Con molte distruzioni,
molte bastonature e qualche omicidio. È il capitale dei robber barrons, che non
sono fuorilegge né marginali, ma le dinastie del migliore capitalismo Usa,
Vanderbilt, Mellons, Rockefeller – Bertrand Russell ne fece un dissacrante
ritratto nella “Storia delle idee del secolo XIX”, e da allora la storia ha
otto gli argini della convenienza.
La mafia è una
forma di accumulazione. Attraverso la violenza. Le genealogie del’accumulazione
non sono più d’uso, ma la mafia è una di quelle. Certamente non è quella della stracca
sociologia dell’onore, del rispetto, del potere, della famiglia, del sangue.
No: la mafia è l’acquisizione della ricchezza attraverso la violenza. C’è, c‘è
stato (Brentano), chi il capitalismo o accumulazione ha ricondotto alla guerra,
al bottino di guerra, persuasivamente. Marx altrettanto persuasivamente all’appropriazione
del valore aggiunto del lavoro. Max Weber, Sombart e altri hanno ricondotto l’accumulazione
a questa o quella osservanza religiosa, calvinismo, pietismo, ebraismo.
C’è
comunque sempre, alla base, una forte tensione, se non passione, all’accumulo,
al denaro. Al salto: una tensione inarrestabile. Anche nelle forme più bieche,
più inaccettabili. Che può finire male, e nella mafia certamente finisce
malissimo, ma c’è. Le
borghesie, quando se ne faceva l’anamnesi, venivano spesso assomigliate alla mafia.
Nei modi sia dell’accumulazione che della riproduzione del capitale. Un Brusca, il luogotenente di Riina forse più barbaro, dal
piccolo Di Matteo a Capaci, poi pentito, non si può non dire uomo di grande
capacità e di determinazione.
Nel
caso della mafia una utile azione di contrasto, e una anche giusta socialmente,
entro limiti, sarebbe una relazione inversa: l’energia violenta indirizzare all’accumulazione.
Al lavoro, all’impresa. Creandole sbocchi, o non occludendoli. Per esempio coi
processi etnici che vanno di moda a Milano e in Liguria. I Carabinieri lo
sanno, che tengono d’occhio da vicino le piccole comunità, più facilmente contrabili
che gli agglomerati urbani. E i tanti giovani che al Sud, crescendo in un “mercato”
di violenza, si esercitano alla violenza, cercano di indirizzare, con la persuasione
e con la dissuasione, verso percorsi praticabili, prima di rinchiuderli.
L’italiano è
leghista
Presentando
al pubblico italiano nel 1981 “L’Italia finisce” (“The Legacy of Italy”, l’eredità
dell’Italia nell’originale americano), la raccolta di una serie di lezioni da
lui tenute alla Columbia University tra le due guerre, Prezzolini spiegava così
l’incapacità italiana di coagulare una nazione: “Molti si son domandati come
mai un popolo così ingegnoso, felice nell’esprimersi, ricco d’immaginazione,
dotato di genialità e di pensiero, senza profonde divisioni religiose, con
dialetti in gran parte abbastanza simili, non sia stato capace per secoli di
formare uno Stato unitario in un paese che sembrerebbe fatto apposta dalla natura
per quello. Pur la risposta mi pare sia facile: in quasi ogni Italiano c’è un’intensa
gelosia verso ogni altro Italiano, sicché preferisce il dominio di qualunque straniero all’Italiano, e non considera
che con piacere l’incendio della casa del vicino anche se la propria va in fiamme.
Lo sforzo fatto dagli Italiani per distruggersi a vicenda, se si potesse parlar
di storia in termini di fisica, avrebbe potuto dare all’Italia il dominio del
mondo se fosse stato sommato e diretto invece nel senso opposto”
Calabria
“Le
continue delusioni nel campionato di serie B hanno spinto la società amaranto a
cambiare nuovamente il tecnico”, dice “Il Quotidiano.net”. La squadra amaranto,
cioè la Reggina. Che non è nella serie B, è nella B semmai della C, la ex C
ora Lega Pro, dove è stata retrocessa.
La Reggina imita l’Inter – o Reggio imita Moratti? Che sempe licenziano
l’allenatore.
.
Anche
il Catanzaro, anch’esso in Lega Pro, esonera l’allenatore, l’ex calciatore Cozza.
Ma,
nonché senza Catanzaro e senza Reggina, la serie A non ha più molte presenze al
Sud, giusto Napoli e Palermo. Il Messina è in serie D
Vincenzo
Galluccio, detto a Carrara “il bomber della Chiana di Gioia Tauro”, va in prima
sulla “Nazione” giovedì perché ha licenziato l’allenatore della Melarese, squadra
carrarina di terza categoria, che non l’ha fatto giocare nemmeno un minuto pur
avendolo convocato. “Se mi convoca mi deve almeno far giocare un tempo”, ha
protestato, “Altrimenti mi organizzo il week-end con la famiglia”. Bozzettismo
toscano. Ma a volte si è calabresi con la famiglia, la partita e il week-end,
come tutti.
Galluccio
è anche il finanziatore della Melarese, che altrimenti non si sarebbe iscritta
al campionato.
Il
“Quotidiano della Calabria” riprende la “Nazione” severo. Con l’aria di chi
dice: “Ci facciamo sempre riconoscere”.
“Striscia
la notizia” scopre a Mottafollone, paese antico vicino Cosenza, un cimitero abbandonato in una casa
diroccata. Nientedimeno. Sono persistenze di vecchi usi, di seppellire in un
edificio piuttosto che in fosse comuni nella terra i morti di epidemie, pesti,
terremoti. Quella di Mottafollone è anche repertoriata,
come cappella mortuaria, in disuso. Tracurata, ma niente camera degli orrori.
Qualcuno l’ha segnalata a “Striscia”, da Mottafollone evidentemente. Non per fare uno scherzo.
Qualcuno l’ha segnalata a “Striscia”, da Mottafollone evidentemente. Non per fare uno scherzo.
OSSA
UMANE è un sito di eBay: “Trova OSSA UMANE a meno”, “Acquista OSSA UMANE”.
Questo non fa notizia.
Diego
Vitrioli, poeta reggino, latinista, vincitore nel 1845 col poemetto “Xiphias”
del primo Certamen poeticum Hoeufftianum di Amsterdam, come poi Pascoli, autore,
oltre che di elegie, epigrafi, dialoghi, sempre in latino, di numerosi epigrammi
in distici latini e greci, non usciva mai di casa: odiava la sua città.
Si
gustano nella Sibaritide clementine già dolci in anticipo sulla stagione. Come
a giugno l’ovale calabrese, un’arancia molto fresca, in ritardo sulla stagione.
Pesche, piccole, che sanno di pesca. E asparagi che sanno di asparago. Perfino
un riso macrobiotico molto apprezzato in Vaticano. In una zone ancora vent’anni
fa piena, sì, d’acqua ma paludosa. Mentre intorno a Reggio Calabria l’ovale calabrese che vi fruttificava nove
mesi l’anno. è scomparso, e i frutti tropicali, la chirimoya (annona), il
mango. Per fare posto a scheletri di fabbricati polverosi. Era un giardino la campagna
attorno a Reggio, quando fu aperta l’autostrada per Salerno vi si passava sopra
come su una passerella attraverso la zagara. Nella geografia economica non c’è
il progresso: solo l’intelligenza.
Il boss non
invecchia
Sono
un paio di settimane che non abbiamo più le confidenze terribili di Riina, e
siamo come in crisi di astinenza. L’incongruità della cosa si agita come un misirizzi,
più minacciosa, terribile, dello stesso Riina. Che pure è uno che ha ordinato
migliaia di morti, in aggiunta a quelli di sua propria mano, e non pensa e non parla
che di quello. Ma: tutto qui?
È
un Riina che sembra se stesso. Stolido, ora che non può più uccidere. Uno
squilibrato, ora che parla da vecchio, incontinente. I killer non parlano, e i
capi.
Come
la mafia, il boss si ipostatizza, eterno, immutabile. E invece il più terribile
si scopre prolisso, fatuo. Uno che in
cuor suo ambisce la platea, come tentò al suo primo processo, con
l’indimenticabile giudice Agnello che ne ascoltava paziente le intemerate. Che,
come tutti, si vede in un talk-show, e si “fa bello”, come usa da Santoro,
Floris, Fazio – quello che “buca lo schermo”, magari con la chioma cotonata al
vapore, come Canfora. È anche naturale, nell’isolamento, farsi un teatro. Ma farne
un grande attore?
leuzzi@antiit.eu
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