“Duce, duce, il vestito mi si scuce\
duce, duce, chi lo ricucirà?”
Un’antologia molto vasta di testi e spartiti. Schiacciata purtroppo, da
Giuseppe Vettori che l’ha riunita, sul Pci - da reduce invitto benché non
fosse, dice, comunista…. Con le solite irritanti semplificazioni: sembra impossibile
che il mondo sia stato un blocco comunista, ma c’è chi vuole crederlo e imporlo.
Il repertorio invece è aperto e a suo
modo allegro: pieno di umori, irridenti, arrabbiati, sofferenti. In copertina
il manifesto dell’Italia che srotola “Viva il socialismo!” I testi in larga
misura ricavati dai repertori del Nuovo Canzoniere Italiano, su cui hanno
lavorato Bosio, Leydi, Portelli, Straniero, Liberovici, Della Mea, prima di
Giovanna Marini – con i non menzionati Lucilla Galeazzi, Ambrogio Sparagna, le
Edizioni del Gallo.
Un repertorio anche dello stalinismo,
che si tende a rimuovere. Insulsi solo i canti della guerra fredda, della
propaganda di Mosca. Terribile nel settembre 1961, a Muro appena eretto, “La
marcia della pace”. Improvvisata, dice Vettori, da Fortini e Amodei tra Perugia
e Assisi, ma certo non francescana – oppure sì?: “E se Berlino chiama, ditele
che s’impicchi”.
Peccato che lo squagliamento del Pci abbia
eraso, quasi ne fosse un feudo, il canto popolare. La raccolta e la
valorizzazione del canto popolare. Che invece nel Novecento italiano, non molto
pingue, ha avuto un ruolo sostanzioso.
Avanti
popolo. I canti del sol dell’avvenire, Scipioni, pp. 112 € 3,50
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