È
una storia di ordinaria amministrazione, nemmeno tanto scandalosa, nel senso
che manca (forse) la corruzione spicciola, ed è anzi protetta dalla Procura di
Roma, altrimenti trinariciuta. Ed è molto romana: col potente privato c’è il
Consorzio Cooperative Costruzioni e l’Ansaldo-Finmeccanica, il Pd cioè e lo
Stato. Ma è esemplare del sistema del governo del non governo, o governo delle
imprese. Nel caso del gruppo Caltagirone, che a Roma è anche Acea e
“Messaggero”. La storia è della linea C della metro, che non si riesce a
varare, dopo dodici anni, e sarà comunque limitata.
Doveva
servire il centro di Roma e invece serve, servirà, una periferia. Doveva essere
automatizzata, driverless, e invece
non lo sarà. Doveva costare 2,4 miliardi e invece ne costerà 3,5. Doveva essere
trasparente e invece ha generato cinquemila subappalti, incontrollabili e
incontrollati - soprattutto del aprtito degli ingegneri e architetti. Doveva essere completata nel 2007.
La linea C della metropolitana di Roma poteva essere realizzata in project financing negli anni 1990, cioè gratis. Quella
vera, del centro di Roma. Dalla società francese che aveva realizzato la metro
ad alta profondità di Lille, e chiedeva in cambio una concessione trentennale.
L’allora commissario per Roma Capitale, Nicola Scalzini, pensò a una grande
occasione, ma si scontrò col silenzio della Giunta Rutelli, cioè col rifiuto.
Da allora, del resto, nessuno ha più sentito parlare dell’obbligo
per i gradi lavori di un’asta aperta a tutti i costruttori europei. Alle aste
dei grandi lavori, anzi, si presenta un solo concorrente: la spartizione si fa
prima.
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