Dopo
il fiscal compact – l’armonizzazione e
la riduzione della spesa pubblica - il lavoro liberalizzato. È il tema fisso di
Mario Draghi da alcune settimane, un po’ asintoticamente rispetto alle competenze
della Banca centrale europea nel cui nome parla.
È un’estensione
vasta delle competenze europee, dalle politiche di bilancio a quelle del
lavoro. È un’estensione anche del “vincolo esterno”: l’artificio per cui i
governi o gli Stati che hanno problemi a governarsi si fanno governare da
Bruxelles (“l’Europa ce lo chiede”). E forse un’illusione: il vincolo esterno,
promosso e (forse) efficace nel venticinquennio fino alla crisi del 2007, appare
indebolito.
Draghi
ne parla dopo che il ministro dell’Economia Padoan ha adombrato il “vincolo esterno”
in materia di lavoro. Auspicando un “monitoraggio europeo” del riforme del mercato
del lavoro, al fine di “fornire esplicitamente alle autorità nazionali
strumenti per contrastare i gruppi di pressione
che si oppongono alle riforme strutturali”. Nel caso i sindacati, una
parte di essi - una parte dellaCgil.
Renzi
si muove diversamente, senza ricorso a Bruxelles. Probabilmente a ragione: il “vincolo
esterno” è risultato disastroso ultimamente
in tema di finanza pubblica e economia reale. E più che rafforzare l’azione di
governo la indebolisce, per il poco credito che Bruxelles riscuote.
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