Il Procuratore Capo Creazzo, asceso dal mandamento piccolo e mafiosissimo di Palmi
a Firenze, ha scoperto che vi processavano un ladro morto da tre anni. Lo
processava un procuratore onorario – la scoperta è avvenuta il giorno dello
sciopero degli onorari, cui Creazzo ha dato la sua solidarietà sostituendosi in
aula – ma il processo andava avanti come fosse vero.
Sempre
a Firenze, il giorno prima era stato assolto un ex direttore generale della Asl
di Massa, reduce da tre anni e passa di carcerazione preventiva a causa di una
telefonata da lui non fatta ma adebbitatagli, in fase d’intercettazione o
trascrizione, dalla Finanza. Il direttore generale era stato intercettato su
esposto-querela dell’assessore regionale alla Sanità Rossi, esponente di primo
piano del Pd alla Regione Toscana, ora presidente della stessa. Anche il
revisore dei conti della Asl di Massa, incolpato da Rossi, è stato assolto.
Quella Asl ha fatto un buco nel 2011 di 400 milioni, un buco politico, che
Rossi voleva che fosse rigettato sul vecchio dg e su Deloitte. Detto e fatto.
Nessuno ha mai pensato di indagare su di lui.
Con
l’assoluzione in appello nel processo Ruby si è saputo che Berlusconi era stato
intercettato, benché parlamentare e presidente del consiglio, dallo Sco della Polizia
6.113 volte tra maggio e ottobre del 2010. Qui senza nemmeno una denuncia o
querela. Quando la Procura di Milano ne diede l’annuncio tramite Gianni
Barbacetto sul “Fatto Quotidiano”, fece scrivere che Berlusconi era denunciato
da una minorenne di cui aveva abusato. Cioè da Ruby, che invece è testimone a
suo favore. Lo Sco era stato creato nel 1992 contro la mafia. Ma questo non è
il primo caso in cui devia dai suoi compiti.
L’illegalità
è diffusa soprattutto negli apparati della legge. Troppa discrezionalità.
Interessi di parte, di carriera o politici, e perfino sindacali. Troppa
confidenzialità - pentiti che poi si ripentono. E inefficienza diffusa, al
limite del criminoso, per indagini mal fatte. Non è una novità, dai vigili ai
Procuratori Capo in Italia la legge è sempre stata questa: tutti sbirri. Ma ora
non si critica nemmeno. Anzi, essendo diventato questo apparato marcio fonte di
notizie e scandali, i media ne impongono un’immagine distorta di efficienza, impegno, eroismo.
Si
dice: il pesce puzza dalla testa e la giustizia non si sottrae. Ma il pesce
Italia non puzza. È in crisi ma ha giudizio, energia, e integrità. È l’apparato
repressivo che puzza. L’Italia ha giudici e giornali che non si merita. In
Inghilterra, in Germania, in Francia, o negli Usa, si inorridirebbe a sapere
che le fonti dell’informazione scandalistica sono gli apparati legali, in
Italia i migliori giornali le esibiscono a titolo di merito.
Si
fanno indagini, o non si fanno, come favori politici. Le Procure vengono da una
stagione di processi politico-carrieristici da repubblica delle banane. In
quale pese civile si farebbe posto a un De Magistris, un Di Pietro, un Ingroia?
Ai tanti troppi altri che si sono fatti senatori e presidenti con indagini
mirate politicamente? In nessun ordinamento giudiziario se non di tipo
sovietico si è mai assistito all’espulsione di mezza Procura come fa Bruti
Liberati a Milano. Uno del Pd con la protezione di Napolitano. Che invece
Palermo, la Procura di Travaglio, Guzzanti e “Micromega”, vuole
statale-mafioso.
De
Magistris non è peraltro un’eccezione nella sistema giudiziario. Di Procure
che, non avendo nulla da fare, o evitando di fare quello che devono, come De
Magistris a Catanzaro, s’impegnano in indagini farlocche. Meglio se di richiamo
mediatico, con intercettazioni a strascico. Girando per l’Italia se ne incontrano
di assurde. Una a Massa che si occupa
solo di socialisti. A Rimini di Pantani. A Trani, non lontano da Bari, di
speculazione internazionale. A Cremona di zingari del calcio. A Tempio Pausania di massonerie. Uffici che servono
solo alle carriere: tanti Procuratori Capo, tanti Procuratori vicari. Alcune
hanno anche la Procura antimafia. Ma perché tenerle in vita a fare danni? Non
si potrebbero dare titoli e appannaggi di Capo e Vicario e chiudere gli uffici?
Non si può: e il potere?
Boccoli e veleni
Il
non detto della riforma della giustizia è sempre più vasto e velenoso. Si fa un
balletto sulle vacanze dei giudici, o sui tempi del processo, e si tralascia
l’essenziale. Il principio che si tentava d’introdurre venticinque anni fa, col
processo accusatorio, di mettere sullo stesso piano accusa e difesa, è stato
trasformato dai giudici più violenti, sotto forma di impegno politico, col
consenso o il plauso vile della massa, in una gigantesca restaurazione delle
vecchie lettere di cachet. Le indagini
non si chiudono mai in sei mesi, le proroghe sono di anni e perfino di decenni.
La carcerazione preventiva – discrezionale – è abusata come non mai. Non ci
sono colpevoli di reato da individuare ma nemici da liquidare – liquidare,
termine sovietico, piace ai giudici. Le indagini di polizia affidate ai giudici
sono diventate un mattatoio di abusi: non si fa più violenza fisica, sui
testimoni o presunti rei, ma i soprusi sono costanti, le trappole, gli
imbrogli, le congiure, i complotti perfino, tra Procuratori, tra Procure – il cosiddetto
“chiama-rispondi” – e con i confidenti nei giornali. Abbiamo avuto i Procuratori
del Pci-Pds.Ds-Pd e “quelli di Fini”, nelle redazioni c’è il cronista della
tale Procura o del tale Procuratore e il
cronista della tal’altra o del tal’altro.
Non
è esagerato dire questa giustizia una mafia che s’impone sulla società, la
proprietà, gli affari, la cultura. Con le guerre di mafia comprese. Intoccabile
per il principio dell’autonomia. A proprio vantaggio, di gruppo e personale. A
spese della società, col moralismo del tanto peggio tanto meglio. A spese
dell’Italia, della parte buona dell’Italia, politica, imprenditoriale,
culturale, e anche più sana, meno corrotta di questi giudici. Ma alla fine,
sarà inevitabile, dello stesso apparato giudiziario, nonché della giustizia.
Perché è chiaro che questa illegalità può perpetuarsi con le istituzioni
deboli, e finché riesce a tenerle deboli o sotto ricatto, ma prima o poi il
paese se ne libererà.
La
magistratura giudicante si sta rinnovando e rimette qualcosa in chiaro, e
questa è l’unica novità positiva. A Napoli, a Roma, nel Sud e ora perfino a
Bologna e in Toscana: succede che qualche giudice dia torto alle Procure. È molto
ma è sempre poco, di fronte alla forza delle mafie. A Milano i giudici restano
assoggettati all’apparato repressivo perfino nei modi di essere – le giudici di
più, bisogna dire: le vaporosità, i tintinnamenti, le colorazioni rosse e blu, i
boccoli, le boccole, e le professioni di buon gusto. Un giudice anticonformista
che una volta ha assolto Berlusconi è stato costretto alle dimissioni,
naturalmente per stretti motivi di coscienza.
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