sabato 4 ottobre 2014

La riforma dell'Opera

Il fragoroso Renzi a questo punto potrebbe andare a Bruxelles e dire: vedete, le riforme le abbiamo fatte! Licenziamo chi vogliamo, anche i dipendenti pubblici.
Non tutto il male viene per nuocere. Per una volta i proverbi hanno ragione, ma.
Si possono licenziare 182 dipendenti su 460, quelli dell’Opera di Roma. Si possono anche licenziare i dipendenti  produttivi e tenersi gli amministrativi, 280. Anche se sono due impiegati per ogni performer. In nessun’altra “azienda” sarebbe successo, né l’una né l’altra cosa, ma non è mai troppo tardi. Si possono anche pensare un’orchestra e un coro “esternalizzati”, a contratto, invece che una squadra affiatata che giochi all’unisono – in fondo la musica è oggi dissonanze. E si può annunciare il licenziamento come fanno il sindaco di Roma Marino e il direttore generale Fuortes, ridendo di gusto. Marino oggi non prenderebbe più del suo voto, e Fuortes è un “manager” con talmente tante direzioni generali che è meglio lasciar perdere – per l’Opera di Roma aveva appena annunciato una stagione trionfale.
Ma la cosa più fragorosa della vicenda non è il licenziamento dellorchestra, del coro, del corpo di ballo, è il silenzio. Non è successo nulla, su tutto questo c’è il silenzio dei giornali, e soprattutto dei giornalisti. Di quelli politici, che ogni giorno ci assillano con l’art. 18, e perché quel Renzi che vuole abolirlo è un fascista. E di quelli della cultura, che hanno condotto l’assalto all’Opera per amore di partito o magari per una consulenza, fosse pure un articolo sul programma di sala. Nessuno ha nulla da dire sulla chiusura dell’Opera stessa.
Per non dire del sindacato. Per esempio della Cgil. Ma questo perché forse non c’è, il sindacato c’è solo nei giornali.  

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