Il
fragoroso Renzi a questo punto potrebbe andare a Bruxelles e dire: vedete, le
riforme le abbiamo fatte! Licenziamo chi vogliamo, anche i dipendenti pubblici.
Non
tutto il male viene per nuocere. Per una volta i proverbi hanno ragione, ma.
Si
possono licenziare 182 dipendenti su 460, quelli dell’Opera di Roma. Si possono
anche licenziare i dipendenti produttivi
e tenersi gli amministrativi, 280. Anche se sono due impiegati per ogni performer.
In nessun’altra “azienda” sarebbe successo, né l’una né l’altra cosa, ma non è
mai troppo tardi. Si possono anche pensare un’orchestra e un coro “esternalizzati”,
a contratto, invece che una squadra affiatata che giochi all’unisono – in fondo
la musica è oggi dissonanze. E si può annunciare il licenziamento come fanno il
sindaco di Roma Marino e il direttore generale Fuortes, ridendo di gusto. Marino
oggi non prenderebbe più del suo voto, e Fuortes è un “manager” con talmente
tante direzioni generali che è meglio lasciar perdere – per l’Opera di Roma aveva
appena annunciato una stagione trionfale.
Ma la cosa più fragorosa della vicenda non è il licenziamento dell’orchestra, del coro, del corpo di ballo, è il silenzio. Non è successo nulla, su tutto questo c’è il silenzio dei giornali, e soprattutto dei giornalisti. Di
quelli politici, che ogni giorno ci assillano con l’art. 18, e perché quel
Renzi che vuole abolirlo è un fascista. E di quelli della cultura, che hanno
condotto l’assalto all’Opera per amore di partito o magari per una consulenza,
fosse pure un articolo sul programma di sala. Nessuno ha nulla da dire sulla
chiusura dell’Opera stessa.
Per
non dire del sindacato. Per esempio della Cgil. Ma questo perché forse non c’è,
il sindacato c’è solo nei giornali.
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