Una storia d’amore infelice, e una
felice. Con la vita accademica, di insegnamento, ricerca, organizzazione, entusiasmante
e sordida – angiporto del potere, tanto più mefitico quanto più è angusto. Niente
di eccezionale. E tuttavia un racconto vivido, per la prosa chiara – grammaticalmente
semplice (la grammatica era l’“arte” dei romani, insegna il professor Stoner, della
latinità). Minimalista si sarebbe detto qualche decennio dopo, ma senza pose. Con
alcune scoperte, anche, non male. Del disamore legato alla maleducazione –
l’educazione borghese delle ragazze, le figlie, prima della liberazione. Mentre
“passione e conoscenza” si legano come meglio non possono: l’opinione
contraria, l’“opinione data”, che la vita della mente è incompatibile coi sensi,
non era contestabile mezzo secolo fa. O che la guerra uccide i vivi – la storia
è ambientata nella prima metà del Novecento, un
susseguirsi di guerre. E della morte che è terrificante – ma questo
ormai si sa – solo per i cristiani, che pure si aspettano la vita eterna. Ma
senza ingegnosità, il racconto scorre modesto e saldo, come il nome del
protagonista suggerisce.
Un autore di culto, riscoperto dopo la
morte nel 1994, che si ripubblica con pre e postfazioni. Un racconto malinconicissimo,
di uno scrittore che è stato anche lui filologo e professore come Stoner, il
suo protagonista, ma che s’indovina estroso – scrittore d’invenzione. La
“storia di irrealtà” che racconta è personale nel doppio senso, dell’autore ma
anche del suo personaggio. Una storia scritta da Williams mentre girava l’Italia,
nel 1963-64, alla ricerca di materiali e colori per “Augustus”, il romanzo del
primo imperatore per il quale è famoso – con un “mamma” modesto omaggio al
soggiorno italiano, e al latino di cui Stoner è cultore.
John Williams, Stoner, Fazi,
pp. 332 € 17,50
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