lunedì 20 ottobre 2014

L'autofiction più vera di Oscar Wilde

Una lettura affatata, come in trance, dei “Sonetti”. Un’apologia del falso: un personaggio inesistito, creato su un falso ritratto, da un altro personaggio inventato, dedicatario dei sonetti di Shakespeare.  Nel nome dell’arte, del falso estetico, con una costruzione sapiente e perfino convincente – ferace di molto Novecento francese, fino a Gide, nonché di Borges. Un esercizio in un certo senso facile: chi è il Mr. W.H. dedicatario dei “Sonetti” di Shakespeare, in gran parte peraltro scritti in forma di dialogo col Mr. Sconosciuto? Uno “Shakespeare in love” prima di quello classico di Harold Bloom, ma vivente, appassionato. E un’infatuazione. Un’infatuazione, un sortilegio più che un’ostensione o provocazione. Di uno scrittore che – si dimentica – è e si vuole uomo di teatro.
Oscar Wilde ha debuttato a teatro, a New York, a 26 anni. Con una tragedia presto dimenticata, “Vera, o i nichilisti”. Ma qui ne è sempre entusiasta: non c’è verità che nel falso, nel teatro. Tanto per cominciare nei ruoli femminili, per secoli fatti rappresentare a giovanotti. Ma poi in tutto quello che fa Shakespeare – che queste malie stimola forse più che Omero, l’altro mago passato e ignoto. Senza quello che si pensa, di un apologo gay sotto copertura: il “W.H.” di Wilde è sì un bel giovane in ruoli femminili, ma “non è nemmeno l’amante segreto”, è “un giovane attore, molto bello, al quale (Shakespeare) affidava l’interpretazione delle sue giovani eroine”, per qualche tempo anzi suo rivale in amore con una bella dama.
Lo Shakespeare di Wilde subisce nei “Sonetti” la stessa fascinazione. Wilde se ne impossessa, sonetto per sonetto, strofa per strofa, immagine per immagine, ventriloquo ubiquo, indistinguibile. Gliene impone anche il rifiuto: che la bellezza debba essere e rappresentare il falso, il “trucco bugiardo”, il “sembiante morto”, un “universo di marionette”, nel quale l’autore si aggira da “buffone variopinto”. La stessa fascinazione Wilde, di suo, pretende anche dell’amore: il matrimonio appartiene alle “passioni della vita reale”, la gaytudine al teatro, dove “il matrimonio è con la Musa”- anche il matrimonio che Shakespeare consiglia al giovane.
Una fantasmagoria wildiana naturalmente, che non può privarsi di battute e paradossi: “Il martirio non è che una forma di scetticismo”. “Nessun uomo muore per ciò che sa essere vero”. “È sempre stupido dare consigli, ma dare un buon consiglio è criminale”.”La coscienza è totalmente incapace di spiegare il contenuto di una personalità. È l’Arte, e l’Arte sola, che si rivela a noi stessi”. “L’affettazione è la sola cosa che vi accompagna fin sotto il patibolo “ – attribuita a Hugo.
Quasi un esercizio ritardato in eufuismo. Ma è l’autofiction più vera di Oscar Wilde – Shakespeare non c’entra, al tempo de “Sonetti” non era ancora Shakespeare (Londra, il Globe, il culto in vita), e ha scritto per il teatro molte canzoni di altra ispirazione, e anche sonetti. Con tutti gli ingredienti della storia d’amore. Compresa la “donna dello schermo” - non l’oggetto dell’amore, una che si interpone, per grazia, beltà, spirito, etc.: “Malato di gelosia e reso folle dai suoi dubbi e le paure innumerevoli, Shakespeare tenta di sedurre la donna che s’è interposta tra lui e il suo amico”. Ottimo soggetto – “poi l’amore simulato diventa reale”. Per non dire delle vite del W.H. di Wilde, un attore, William Hughes, giovane e bello, che ne ha più di una come l’Orlando poi di V.Woolf, e morirà o decapitato dai puritani in vecchiaia, che odiavano il teatro e condannavano i ruoli femminili, oppure in Germania, dopo aver contribuito a diffondere le opere di Shakespeare. Anzi “il primo a introdurre in Germania il seme di una nuova cultura”, diventando, “a suo modo, il precursore  dell’Aufklärung  o Illuminazione  del XVIII secolo”, di Lessing, Herder e lo stesso Goethe. È morto in Germania forse nei moti di Norimberga contro gli attori inglesi, uccisi e insepolti. Ma senza più parte nella verità della trattazione.
Entrambe le edizioni comprendono anche l’originale. Benedetta Bini ripubblica con Marsilio la sua edizione del 1992 per Studio Tesi. La presentazione di questa riedizione per un volta dice tutto. Partendo dal fatto principale, che “Il ritratto” fu pubblicato nel 1889 abbreviato, poi a lungo rimaneggiato e riscritto, fino a questa edizione, molto più ricca e complessa della prima, che però si poté pubblicare solo nel 1921. Ma non è una rivendicazione gay, va aggiunto, malgrado la vicenda editoriale, di autocensure e censure. Wilde cita Symonds, il poeta inglese morto a Roma, che si annovera tra i primi militanti della liberazione omosessuale, ma a proposito di Michelangelo. E non va oltre l’elogio dell’ambiguità sessuale come “il maggior motivo di attrazione”. Questo “Ritratto”
è “racconto nel racconto, dove i narratori intrecciano le loro diverse «verità», fiction e saggio, gioco metaletterario anticipatore di Borges e di Nabokov, funambolica prova di erudizione sul filo dell’esegesi shakespeariana”, e “storia, squisitamente novecentesca, sulla incertezza, sulla falsificazione e sull'instabile statuto della interpretazione”. Tutto vero. A partire dal gioco “a distanza sempre più ravvicinata con il fuoco della censura fino a bruciarsi le ali”. Wilde non sarà all’altezza della condanna, e dunque non è un martire, ma un gocatore sì, uno scommettitore compulsivo.
Oscar Wilde, Il ritratto di Mr. W.H., Marsilio, pp. 222 € 17
(a cura di Franco Venturi), La Vita felice, pp. 101 € 8,50

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