L’altra “saga dell’emigrante” di ritorno. Non
quella dolore e ira sancita da Francesco Perri, di Careri, “Emigranti”, 1928 – tornata
in voga con Mazzucco (“Vita”) e Gangemi (“La signora di Ellis Island”). O in
altri ambiti, specie tra gli anglo-indiani, magnificata – “Il Dio delle piccole
cose” ne è epitome. Ma quella onorevole della piccola borghesia, i manovali
compresi, industriosa e anzi avventurosa, al suo modo piano, in pace con se
stessa, aperta sempre e accomodante. Che fa scuola negli Usa, specie tra gli
americani di origine italiana, John Fante, Scibona, Rotella. Fante prima di
Talese, ma limitatamente all’esperienza americana. Scibona e Rotella sull’esempio
esplicito di Talese, con l’immedesimazione nell’ambiente di origine, qui Maida
in provincia di Catanzaro, storia, eventi, persone. Ricostruito con impegno di
ricercatore, per dieci anni buoni.
Talese ripete, memorabile,
il miracolo dell’emigrante. Piccolo, di età spesso, di mezzi, di mestiere, di
orizzonti, che non era mai uscito dal suo paese, proiettato di colpo a Napoli o
Genova, in treno, con masse di sconosciuti, e poi, dopo dieci-venti giorni di
mal di mare, su continenti sterminati e forse ostili, e dentro città misteriose,
senza lingua, comunque senza diritto di parola. Talese fa il miracolo inverso:
da newyorchese s’immerge nella vita di paese, la esplora, le microcomunità
familiari con le loro, spesso tignose, microstorie, se ne impadronisce, e sa farle
rivivere.
Veniali gli errori: Maida a quattro miglia
dallo Stretto di Messina, le raccoglitrici di olive col culo nudo all’aria e le
tette in vista, e altri pochi. Il più è raccontato col taglio sempre
giusto, leggibile per seicento fittissime pagine, benché senza eroi e senza imprese.
Con temperamento al fondo beffardo, molto calabrese, benché Talese sia
newyorkese in tutto.
Una narrazione avvincente malgrado
se stessa. Un’epica delle piccole cose. “Delle ambizioni”, come l’autore fa dire in esergo a Theodore Zeldin,
“di chi non è mai diventato molto ricco, non ha fondato una dinastia o
un’azienda di vita lunga, e ha vissuto al livello medio-basso del mondo degli
affari”. Solo apparentemente di cose viste.
Gay Talese, Di padre in figlio
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