martedì 28 ottobre 2014

L’epica delle piccole cose

L’altra “saga dell’emigrante” di ritorno. Non quella dolore e ira sancita da Francesco Perri, di Careri, “Emigranti”, 1928 – tornata in voga con Mazzucco (“Vita”) e Gangemi (“La signora di Ellis Island”). O in altri ambiti, specie tra gli anglo-indiani, magnificata – “Il Dio delle piccole cose” ne è epitome. Ma quella onorevole della piccola borghesia, i manovali compresi, industriosa e anzi avventurosa, al suo modo piano, in pace con se stessa, aperta sempre e accomodante. Che fa scuola negli Usa, specie tra gli americani di origine italiana, John Fante, Scibona, Rotella. Fante prima di Talese, ma limitatamente all’esperienza americana. Scibona e Rotella sull’esempio esplicito di Talese, con l’immedesimazione nell’ambiente di origine, qui Maida in provincia di Catanzaro, storia, eventi, persone. Ricostruito con impegno di ricercatore, per dieci anni buoni.
Talese ripete, memorabile, il miracolo dell’emigrante. Piccolo, di età spesso, di mezzi, di mestiere, di orizzonti, che non era mai uscito dal suo paese, proiettato di colpo a Napoli o Genova, in treno, con masse di sconosciuti, e poi, dopo dieci-venti giorni di mal di mare, su continenti sterminati e forse ostili, e dentro città misteriose, senza lingua, comunque senza diritto di parola. Talese fa il miracolo inverso: da newyorchese s’immerge nella vita di paese, la esplora, le microcomunità familiari con le loro, spesso tignose, microstorie, se ne impadronisce, e sa farle rivivere.
Veniali gli errori: Maida a quattro miglia dallo Stretto di Messina, le raccoglitrici di olive col culo nudo all’aria e le tette in vista, e altri pochi. Il più è raccontato col taglio sempre giusto, leggibile per seicento fittissime pagine, benché senza eroi e senza imprese. Con temperamento al fondo beffardo, molto calabrese, benché Talese sia newyorkese in tutto.
Una narrazione avvincente malgrado se stessa. Un’epica delle piccole cose. “Delle ambizioni”, come l’autore fa dire in esergo a Theodore Zeldin, “di chi non è mai diventato molto ricco, non ha fondato una dinastia o un’azienda di vita lunga, e ha vissuto al livello medio-basso del mondo degli affari”. Solo apparentemente di cose viste.
Gay Talese, Di padre in figlio

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