martedì 7 ottobre 2014

Letture - 187

letterautore

Editoria – Come industria è un porcile. Anche a ridurla a semplice industria cioè, senza più la funzione d’ingranaggio principale della comunicazione e della cultura. Non c’è altra industria, del prosciutto o del cuscinetto a sfera, altrettanto inaffidabile e truffaldina. Se non altro perché tutte le industrie sono soggette a disciplinari e normative, l’editoria invece no, pretestandosi veicolo di opinione e quindi di libertà. Mentre smercia, ormai quasi esclusivamente, prodotti di pronto consumo, corrivi alle mode, anche le più passeggere. Come veicolo di opinione l’editoria ha semmai la colpa di aver degradato la lettura e il gusto dei lettori – anche la scrittura, ma questo è un altro discorso. Grazie anche alla eliminazione, nell’editoria giornalistica, del critico letterario, che mediava la buona scrittura e la buona lettura, quelle che lasciano traccia. Come prodotto non è granché. Prezzi alti - altissimi rispetto alla Francia, agli Usa, due mercati che alimentano anche il gusto alto della lettura, e malgrado questi due handicap sono floridi. Pubblicazioni ritardate, malfatte, buttate via. Moltiplicate, anche, senza criterio, soprattutto le traduzioni. Una distribuzione lenta, disorganizzata, occasionale. Stipendi irrisori, ritardati, decurtati, specie nell’editoria giornalistica, anche di poche centinaia di euro – perfino decine… L’innumerevole galassia della pubblicistica di vanità, dal “contributo alle spese” all’autoedizione senza distribuzione. Oggi moltiplicata dall’ebook. Le cattive abitudini delle recensioni, tutte ordite dagli uffici stampa e a essi rispondenti. In uno scambio permanente: finiti i critici militanti dopo gli accademici, ora si fa mercato, di favori o di pubblicità redazionale. Anche per effetto dell’ambiente letterario: non c’è altra attività (sport, cinema, arti figurative) che sia così pettegola, avara, cattiva, rancorosa, faziosa. E venduta: i festival e i premi ne sono testimonianza tangibile, tutti di gruppo, schierati, predeterminati, che più spesso non lasciano tracce. Molti premi non pagano, né i premiati né – quelli delle giurie popolari - le case editrici.

Luteranesimo – Hamsun, nato luterano, lo identifica in “Pan” con “assenza di gioia, autosufficienza morale e aridità dell’anima”.

Media – “Cancellate la stampa dalla vostra memoria e pensate a ciò che la vita moderna sarebbe senza il tipo di pubblicità da essa creato”, si legge in Max Weber, “Per una sociologia della stampa quotidiana”. Ma è da leggere come una avvertimento minaccioso o un invito?

Pasolini – Perché Pasolini non è Hamsun? Pur professando gli stessi riferimenti: natura, animalità compresa, tradizione, odio della borghesia. Domanda incongrua, ma per un aspetto no: la natura, il senso della natura. Entrambi negativi, autodistruttivi, seppure in forme espressive diverse. Lo Hamsun di “Pan” e “Il risveglio della terra”, il romanzo del Nobel, il Pasolini di “Teorema” e “Petrolio”. Ma con una differenza. Per Pasolini la critica sociale è tutto: da una parte il male, la città, la famiglia, la borghesia, il potere, anche democratico, dall’altra la vita buona, anche nella miseria, il dialetto, la borgata, la semplicità d’animo, dopo la terra buona del contadino, il fiume, la tradizione, e il dialetto di un Friuli idealizzato in una fuga senza ritorno. Per Hamsun la critica sociale non c’è, e non c’è neppure il naturalismo ai suoi tempi dominante: la natura è un supporto, uno dei tanti, nella disintegrazione identitaria che la psicoanalisi si apprestava a canonizzare – l’ideologia, soprattutto, non salva.
Per entrambi vale il ritorno alla terra come autopunizione – esclusione.
San Sebastiano - Celebrato in pittura dall’Antonello di Dresda al Greco, lo ricorda Riccardo Alberto Quattrini,
In letteratura preda soprattutto del decadentismo, nelle forme più late. Da Oscar Wilde a D’Annunzio, col Thomas Mann di “Morte a Venezia” e Mishima ovunque, ma soprattutto nelle “Confessioni di un a maschera”. Compreso il Nietzsche di “Così parlò Zarathustra”.
Le frecce sono il soggetto di una delle prime pitture rupestri, nella catalana Cueva Remigia di Castellòn, datate 6000-3000 a.C. Lantropologo Luigi M. Lombardi Satriani, nel “De Saguine” quindici anni fa, che in copertina s’illustra col San Sebastiano candidamente indolente di Piero della Francesca, sposta l’attenzione dalle frecce al sangue. Con alcuni “corollari”: “1. Il sangue è, per l’uomo, il linguaggio dell’Essere… 5. Il sangue, dunque, è il linguaggio dell’amore. 6. Amore e conoscenza, per l’uomo, tendenzialmente coincidono”. E a san Sebastiano appaia gli itinerari mistici, per esempio di Teresa d’Avila e Juan de la Cruz, che anchessi fanno riferimento alle frecce “nell’itinerario dolore-Dolore-gioia”.
Serialità – Con Montalbano, è stato calcolato, Camilleri si trova già scritto da un quinto a un sesto, circa 50 cartelle, dei suoi gialli. Dal “Montalbano sono!” a Catarella, Augello, il dottor Pasquano, il questore, Livia. Camilleri se ne lamenta, ma è un bel risparmio.
Oreste Del buono, nella sua genealogia mitica e biblica del giallo, fa ascendere il detective, personaggio seriale per eccellenza, prototipo delle fiction che fanno la narrazione oggi, alle vecchie saghe, di Ercole o bibliche. Ma non è la stessa cosa, la serialità è e si vuole il dominio della ripetitività. Per una lettura a scorrimento veloce – riconoscendo più che leggendo. Un favore quindi al lettore, e un onere per gli autori, ma anche un fardello: molti scrittori di gialli, nel cui ambito il personaggio ripetitivo è nato, ne rifuggono. Impone i suoi tic, e quelli del suo ambiente, poiché il personaggio seriale si trascina anche un ambiente seriale, costanti e uniformi in ogni episodio o aneddoto. È un fardello, spiegava Margaret Millar in un’intervista vent’anni fa, oggi online, perché col personaggio bisogna riprodurre in ogni racconto i suoi gesti, le manie, i modi di pensare, dire, fare, le frequentazioni, i pregiudizi, i gusti, anch’essi ripetitivi, sessuali, alimentari.

I personaggi seriali antichi ricorrevano per l’eccezionalità. Erano per questo attesi a ogni uscita e santificati o sanzionati. Quello contemporaneo deve al contrario essere semplice e non porre problemi – di memorizzazione, richiamo, connessione, implicazione surrettizia. È per un lettore-spettatore che si vuole inerte, prossimo o parallelo al sonno. 

letterautore@antiit.eu

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