Best-seller – È
opera editoriale, più che di scrittura. La
scrittura stessa è redazionale, l’autore può limitarsi a offrire un copione –
il caso più evidente è il best-seller massimo, il “Gomorra” di Saviano, che in
origine era un dossier della Procura di Napoli. Poi c’è la ricerca del tempo di
uscita, la promozione, con impegno di vasta pubblicità e a forte sconto, che
consenta una elevata tiratura iniziale con la fascetta “terza (quarta,quinta) edizione
in tre giorni”, l’affidamento dell’opera in patrocinio a uno-due critici di
peso, retribuiti, e poi eventi vari per ravvivare-rilanciare il mercato: uno
scandalo, una causa, una minaccia, e i premi. Per Vitali, che scrive con la
mano sinistra, i suoi editori, Mondadori, Garzanti, Rizzoli, hanno promosso una
serie interminabile di premi: Montblanc, Piero Chiara, Grinzane Cavour, Bruno
Gioffrè, Dessì, Bancarella, Stresa, Alda Merini, Hemingway, Isola d’Elba, Casanova,
Procida Isola di Arturo Elsa Morante, Campiello, Strega, Boccaccio. Che magari
sarebbero andati con più senso, per la parte edita da Garzanti, a un autore
vero della stessa editrice, un Magris.
Si
procede dentro i best-seller italiani senza alcun interesse, Eco incluso, escluso Camilleri. Altrove
si trova sempre qualcosa da leggere con piacere
e d cui si fa memoria, in Dan Brown, negli “Harry Potter”, anche nelle
“Schiappe”.
Dante – Era “arabo” nel senso in
cui tutta la letteratura italiana lo era, mediatrice di una cultura cui magari
non aveva più accesso diretto, ma di cui conosceva i canoni e i generi.
Soprattutto, più che della trattatistica islamica, della novellistica.
Flusso di coscienza – È all’origine del flusso di autofiction. Al flusso di coscienza Joyce disse
di essere stato indotto dalla lettura di Émile Dujardin, che poi nessuno più
lesse.
Italiano – Fu lingua molto frequentata anche perché intermediaria, ricorda
Prezzolini nelle lezioni americane, dei greci. Di
Omero,di Platone,
con le prime traduzioni. E degli arabi: i racconti,
gli aneddoti, perfino le facezie e i personaggi bislacchi.
Mistero –
Beckett
nota di Proust, della sua tendenza a elaborare in continuo sugli stessi
personaggi, che “spiegandoli rinforza il loro mistero”. “Ci guadagna a essere
conosciuto, ci guadagna in mistero”, è una malignità di Paulhan su uno
scrittore che non amava. C’è malignità anche in Beckett, ma non si può dire che
non sia la verità: aggiungere, nella scrittura come nella scultura e nella
partitura – per esempio il pianismo del tardo Pollini – non aggiunge, non
chiarisce, semmai gonfia.
Nichilismo – Il terrorismo è soggetto molo praticato nel fine
Secolo (fine Ottocento). Sulla scia di Dostoevskij, e non. Nessuno lo ricorda
ma Oscar Wilde ha debuttato, a 25 anni, con una tragedia intitolata “Vera, o i
nichilisti” – montata a New York, fu un fallimento. Era stato tema di Stevenson
(i carbonari), e di Conrad più volte, quasi più dei racconti di marina. E poi
di Čechov, “La tre sorelle”, Irène Némirovsky.
È tema russo, è vero, e britannico.
Simbolismo – Autore di frasi come “la felicità è un dio che cammina
a mani vuote”, e di versi quali “il
piacere delizioso e sempre nuovo\ di un’occupazione inutile” (che purtroppo adornano
in epigrafe le “Valses nobles et sentimentales” di Ravel), il poeta accademico Henri
de Régnier fondatore del simbolismo è più benemerito (ricordato) quale marito
di Marie de Heredia. Una che, in arte Gerard d’Houville, scrisse romanzetti che
si celebrano più delle poesie del marito. Donna di corpo e anima liberi, che
lasciò immortalare a Pierre Louÿs, in versi e in fotografia. Altre frasi
celebri del nobile De Régnier sono: “In amore l’esperienza non conta: se
contasse nessuno amerebbe più”. Detto altrimenti: “Non c’è amore se non si
soffre o si fa soffrire”.
Ugonotto – Viene da Eidgenosse,
dice Voltaire, un confederato. Il nome che agli ai protestanti emigrati si dava
a Berlino e altrove.
letterautore@antiit.eu
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