Un
processo di sette anni a una ragazza che ora ne ha ventisei. Anzi, non un
processo, ma un’impiccagione sospesa, la condanna è stata già comminata. Per l’assassinio
di un agente dei servizi segreti che la stessa ha sempre negato e l’accusa non
ha mai provato. Di un uomo comunque morto per un tentativo di stupro ai danni
della stessa. Tutto questo succede a Teheran, non nei deserti del califfato o
dei talebani. Ed è il segno, purtroppo non unico, della barbarie che minaccia l’islam.
Il
terrorismo talebano, dell’Isis, di Al Qaeda, non fa stato: si tratta di bande, più
violente – naziste, fasciste - che
islamiche. Quello degli ayatollah sì: sono tutti dottori della legge, e
governano il paese forse più civile di tutto l’islam e del Medio Oriente, di maggiore
tradizione e consideratezza.
Concedere
le attenuanti no. Accusare un congiunto della donna nemmeno: non avrebbe implicato
la pena di morte, e questo è tutto il succo della storia. L’impiccagione della
donna si vuole esemplare. Si voleva con la presidenza Ahmadinejad, l’uomo del
Guardiano della Rivoluzione, il grande ayatollah Alì Khamenei, capo dell’’islam
in Iran.
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