Luca Ricolfi stima sempre in 50 miliardi il flusso annuale di
risorse dal Nord verso il Sud e Roma. Oggi come nel 2010. Ma è la vecchia cifra
è di Draghi, che da presidente della Banca d’Italia nel 2008 si prendeva la
briga di valutare in 3 punti di pil “l’afflusso netto verso il Sud di risorse
intermediate dall’operatore pubblico”.
Ora che il pil è diminuito, non sarà diminuito anche il
flusso annuale di risorse dal Nord verso il Sud.
Ed è un flusso netto, al netto di quanto il Sud paga senza
ritorno?
I Carabinieri, che si erano già segnalati per i
video della Madonna di Polsi mafiosa, e per l’inchino della Madonna di
Tresilico al boss, hanno immortalato gli ‘ndranghetisti in cascina in
Lombardia, a giurarsi fedeltà nel nome di Mazzini, Garibaldi e La Marmora, pena
il cianuro. Ora, nessuno ‘ndranghetista si è mai suicidato, nemmeno col
cianuro.
E La Marmora? Chi è costui? Quale La Marmora?
Dice: sono massoni. Gli ‘ndranghetisti giurano
per Mazzini, Garibaldi e La Marmora perché erano massoni. Gli ‘ndranghetisti
sono andati a scuola, che sanno tante cose? O sono massoni. E gli
intercettatori no? Quelli che le intercettazioni diffondono, se non quelli che
le fanno.
Le processioni di Marx
Le
processioni. Come non si è guardato ad esse con l’occhio di Marx, in questo
caso acuto? Marx bollava la religione come “l’oppio dei popoli”, è risaputo. Ma
in senso buono, come l’ultima risorsa dei deprivati. Ecco cosa diceva
esattamente, nella “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”: “La religione è il
singhiozzo della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore, lo spirito
di una condizione di vita priva di spiritualità. È l’oppio dei popoli”.
Per Marx la religione popolare aveva una valenza positiva. A
Feuerbach, che la religione riduceva a frutto di una coscienza capovolta del mondo, e
quindi la voleva finita nel mondo tecnico e democratico, Marx aveva obiettato
già nel 1844 che essa sarà pure un inganno che l’uomo opera su se stesso, ma è
una consolazione e una promessa di verità.. Ma già Shakespeare l’aveva detto nel “Re Lear”, che “ormai nessuno
vede più miracoli eccetto gli infelici”, e il popolo di Marx non vuole essere
infelice.
Si pratica la magia al Sud
Non c’è solo una letteratura del Sud – mentre non c’è del
Nord, malgrado gli sforzi di Dionisotti e Mauri. C’è anche un magia del Sud, De
Martino ne era convinto. Ma subordinata. Magia nel senso di pratiche magiche.
Come materia folklorica. Etnologica. Antropologica. Subordinata nel senso di Gayatri
Chakravorti Spivak e dei
suoi “subaltern studies”. La
metodologia di alcuni storici indiani degli anni 1980, che rilessero la storia
dell’India dal punto di vista della “subalternità”, cui Gramsci aveva accennato
nelle “Note sulla storia d’Italia”, mediata da Edward Said.
L’egemonia moderata dominante nel Risorgimento Gramsci aveva arricchita col riconoscimento della capacità di dominio culturale degli stessi moderati,
Cavour naturalmente in testa. Con Gramsci, e con Foucault, Derrida e Barthes, i
subaltern studies avevano concluso
rapidamente che il padrone vince sempre, perché ha e dà le parole, racconta la storia. Con la coscienza maliziosa, da parte di Spivak:
“Io scrivo, naturalmente, all’interno di un luogo nel quale si lavora per la
produzione ideologica del neo colonialismo anche se sotto l’influenza di
pensatori come Foucault”.
Concludendo col “mostrare le complicità tra il soggetto e
l’oggetto della ricerca – tra il gruppo dei Subaltern Studies e la
subalternità”. Che non
è un paradosso.
Resta inalterata l’esigenza di
Gramsci: “Le classi inferiori” devono “conquistare l’autocoscienza attraverso
una serie di negazioni”. De
Martino lo faceva attraverso una serie di affermazioni. Lusinghiere, se si
vuole: la fascinazione è comunque un segno di vita e forse una risorsa. Ma dove
si incontra? Quella ricerca era di foglie secche, già sessant’anni fa. La subalternità, già in Gramsci, è l’introiezione
della dipendenza.
Quanto alla magia, bisogna infine
rendere giustizia al Nord. Essa era ed è ben viva al Nord, sotto le specie del
satanismo. Con messe nere e circoli iniziatici. Con morti anche.
Il
condono mafioso 3
Se si vuole creare, ingigantire, irrobustire le
mafie, bene, è quello che si fa. Celebrandole molto e colpendole poco e tardi. Non
negli interessi principali, la droga, la finanza. Gli arresti di balordi
corredando di giuramenti, iniziazioni, riti, devozioni, santini, “pungimenti” e
altre messinscene ancora più balore.i ancora più balordi. Nonché di conferenze
stampa celebrative, e di storie, sociologie, interviste magnificatrici, di assassini
e pentiti. Di testimonianze prese sempre
per buone e eccellenti. Soprattutto se a carico dei propri nemici – un uomo
politico, un uomo d’affari, un inquirente, concorrente nella carriera, un
giornalista concorrente nella confidenza, un avvocato, qualche vescovo (i vescovi
ora non più, con papa Francesco).
È evidente che i Carabinieri hanno videoautori molto
buoni, ma uno non sa se congratularsi. Perché mai la mafia ha prosperato tanto, e tanto invasivamente, come
in quest’epoca di antimafie
istituzionalizzate e ridondanti. E di pentiti, che pure sono migliaia. E forse
meglio che video autori sarebbero stati agenti dell’ordine. Un Messina Denaro
si cattura e basta, non si lascia sfuggire alla cattura una, due, dieci volte, a
dieci, venti o cento inquirenti messinadenarologi, primula rossa, robin hood, mago
houdini.
I vaniloqui di Riina, con sconosciuti messi alle sue costole in cella,
condurrebbero a chiedersi: tutto qui? E invece l’estorsione non si punisce
subito, e amen. No, s’interviene dopo venti e trent’anni, quando è diventata
pratica abituale, con atti d’accusa magari di cento e mille pagine, ma quando i
soldi sono scomparsi, e i morti hanno fatto catasta.
Oltre che per l’abiezione, Riina fa paura per
la stolidità: non sembra capire molto di quello che dice. Ma questo è l’uomo
che ha fatto tremare lo Stato. Uno il cui cervello è solo nella potenza di
fuoco, degli altri per di più. Ma, è vero, indisturbato: lui può mettere le bombe,
lo Stato no. E anzi deve difendersi dai riinologi: estimatori, compagni in
cella, intercettatori, scoopisti. Questo è vero: la mafia crea ricchezza, dà
lavoro.
In “L’assalto al cielo”, una
raccolta di studi sull’emigrazione, la storica Andreina De Clementi pone “le complicità dei contesti”:
“Perché negli Usa proibizionisti degli anni trenta sì, e in Canada o in
Australia o in Francia no?” È
vero e non lo è: l’emigrazione
è varia, per provenienza, destinazione, epoca, e quindi si compone di realtà diverse,
che variamente si sovrappongono. Ma a proposito dell’insorgenza mafiosa si può
testimoniare che proprio in Canada, Australia e Francia essa si manifestava
ancora di recente. La grande differenza, più che nel contesto, stava nell’approccio.
Attorno
al 1980, a Reggio Calabria, indagando sui rapimenti di persona, il comando dei
Carabinieri aveva ricostituito, stante il segreto bancario in Italia, le
diversificazioni finanziarie di cui alcune mafie erano già specialiste
attraverso i contatti australiani o canadesi, di parentela o paesanità. E in
almeno un caso, i Pesce di Rosarno, in Francia. Una rete dettagliata dei
movimenti di denaro con persone e banche della Locride e della Piana di Gioia
Tauro era stata ricostruita grazie alle segnalazioni delle polizie di Canada,
Australia e Francia. Che però si guardavano bene dal farne un fenomeno
speciale. Diverso era - è - l’approccio.
Non
dovendone fare terreno di bagarre politica, l’apparato
repressivo di quei paesi non indulgeva in società segrete, cupole, associazioni
e concorsi esterni, ritardando di decenni e di generazioni la punizione del
crimine, bensì colpiva subito i rei. Molto più semplice, e anche
produttivo.
leuzzi@antiit.eu
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