Palermo
corrotta Sicilia infetta
Non si può nominare un procuratore Capo a
Palermo perché i giudici palermitani litigano. Non è la prima volta: la Procura
di Palermo è sempre nido di forti dissidi, molto violenti. Che meglio si configura
come “palazzo dei veleni”, come viene chiamata, insidie nascoste, camuuffate. Come
il Comune di Palermo. Come la Regione Sicilia, che ha sede a Palermo. Nelle
tante stragi che la città ha subito, anche di giudici, c’è la città stessa, non
solo Riina e le belve umane.
Tutto a Palermo è corruzione. Di denaro e
dell’animo. E violenza. Sarà questo il problema della Sicilia, altrimenti un
paradiso in terra? Fuori Palermo tutto è normale nell’isola. Anche fattivo,
operativo, industrioso. Fuori Palermo, e dovunque la città radica i suoi tentacoli,
nelle Procure, i Tribunali, gli affari, i giornali, tutto è presto infetto.
Le stragi dei giudici
e i veleni del palazzo di giustizia si intrecciano. Sono della stessa natura e
probabilmente della stessa matrice. Basti quello che Rocco Chinnici pensava e
ha lasciato scritto di Lo Forte e Sciacchitano – tutto vero, confermato tre
anni fa Michele Costa, figlio di Gaetano, altro Procuratore Capo assassinato
dalla mafia. Lo Stato-mafia ne è l’epitome, di cui non si sa misurare la
sordidezza. Un falso processo dietro il quale la Procura di Palermo cela il suo
totale lasciar fare alle mafie. Nel mentre che tiene in scacco la politica e la
stessa azione repressiva, di carabinieri e polizia. E in soggezione, grazie ai
tanti giornalisti affiliati, le buone coscienze e l’opinione pubblica.
Autobio
L’affetto ai luoghi Guido Morselli dice nel
“Diario” “il più forte di tutti gli amori”, “un’affezione squisita e stupenda”,
un affetto puramente gratuito”. Incomprensibile più spesso, come gli amori:
cosa ci lega ai luoghi natii, dell’infanzia, della prima scuola, nell’arco di
una vita i segmenti forse nemmeno più lusinghieri e a volte anzi negativi? E
comunque a ogni epoca ingrati, o quantomeno indifferenti. Il luogo natio è
indifferente al ritorno - ha anche problemi a ricordare.
.
Trovo Radicena in un pezzo estivo di Goffredo
Buccini sui delitti storici, a proposito di una ragazza di quel paese, nome
d’arte Mary Pirimpò, di cui il “Corriere della sera”, “una brutta mattina di
gennaio” del 1953, titolava: “Uccisa a rivoltellate e gettata nell’Olona «Mary
Pirimpò», ex attricetta del varietà”. Maria Boccuzzi detta Mary, che resterà negli
annali come la Marinella di De André, veniva appunto da Radicena ed era finita
male.
Si diceva allora “andare a Radicena”, come
“andare a Pedavoli”, la parte per il tutto, pur essendosi i due paesi da tempo
accoppiati, Radicena a Iatrínoli, Pedavoli a Paracorio, assumendo un nome
nuovo, rispettivamente Taurianova e Delianuova. “Siete di Pedavoli” era l’interrogativa
affermativa, anche se eravate di Paracorio. E la cosa non poteva essere altrimenti
“vera”.
I due paesi, Pedavoli e Paracorio, benché
contigui senza soluzione di continuità, erano diversi in tutto, di etnia
probabilmente, e modi di essere, di esprimersi, perfino di accento, e di operare.
E lo sono tuttora. Le famiglie sono ora indifferentemente mescolate, ma se ne
riconosce, e se ne precisa sempre, l’origine.
Giovannino Palumbo, gestore del ristorante “Le
vie del gusto” con l’ottima cuoca sua moglie Grazia Battista, ha recuperato
come segnatavolo in ceramica i nomi dei vecchi quartieri, e trova che a tutti
piace stare nel proprio. Scoprendolo però – i più – ora, con qualche
confusione, anche i nomi sono stati cancellati.
L’Aspromonte è la “montagna sul mare” di Isak
Dinesen. Che non può essere, e quindi non è: o non l’ho letto nei suoi
racconti, o lei non si riferiva all’Aspromonte. Ma lo stesso mi fa girare per la montagna in
compagnia, di una scrittrice squisita, benché persona probabilmente sgradevole.
L’aria pulita e potente, i rumori remoti, della vita non ingombrante, il
picchio, una sega, una marmitta che ansima, che mai sovrastano l’acqua e il
vento, lo scroscio delle cascate, il gorgoglio delle fiumare, e anzi vivificano, accentuando una solitudine grata, animata, e l’elevazione,
l’immedesimazione. Come se ci fosse più purezza, e forse c’è, se ha effetti
confortanti.
La decadenza si manifesta e si consolida con
l’abbandono dei miti. La morte della religione dopo la morte di dio – dove
conduce l’io-e-il-mio-Dio della Riforma lo sappiamo bene da Nietzsche, i
vescovi farebbero bene a leggerlo. I vescovi di Palmi e Locri che ci hanno
proibito le processioni non sono luterani, sono ordinati. Non nel senso del
sacramento ma dell’ordine borghese, del decoro, la proprietà, i buoni
sentimenti e la ragione spicciola. Di ogni cosa al suo posto, smacchiata e, se
possibile, inodore. Figurarsi poi il sudore.
Non c’è più la divinità dell’uomo. Non c’è
nemmeno la divinità, il concetto. Il divino esiste solo se incontra l’umano, nel
mito, nel rito, nell’inconscio.
Prima del paese, sulla fiumara Petrilli, c’era
la “machina” - frantoio ad acqua – di Micuzzu, il mio bisnonno Domenico. Poi
distrutto dalla mafia di Castellace, e da mezzo secolo rudere. Ma niente la
ricorda. Eccetto una pubblicazione dei compaesani emigrati a Perth, in Australia,
che nella piccola guida al loro paese di origine, a opera di Domenico
Italiano, ne fanno menzione e ne danno
spiegazione.
In paese l’invidia sociale è la regola di vita.
Soprattutto verso chi si è acquisto un qualche merito, magari di gratitudine.
Non c’è del resto in paese una pubblicazione
come quella, che gli emigrati a Perth hanno realizzato, per consacrare la
memoria. Domenico Italiano invece sa dire dottamente in poche parole la storia
complessa dei due borghi che compongono la comunità, e insieme la nostalgia,
l’identificazione, religiosa, di quartiere, di famiglia, e cosa di essa si fa
sopravvivere a Perth.
Anche la Madonna: se ne andrà la sua memoria a
Perth? L’inno della processione ora abolita, che pure anticipava papa
Francesco, “Bonasira Vi
dicu a Vui, Madonna”, con la coda accorata, “Facitimmilla, Madonna mia,\ facitimmilla
per carità, \ e se la grazia non ti la dà…”, solo il loro annuario lo registra. La parrocchia dà un volantino con i canti anonimi della nuova liturgia.
I compaesani di Perth hanno anche la festa
delle castagne e delle soppressate. Con ballo: si balla la tarantella. Da noi
non si suona più e nessuno saprebbe ballarla – quando ci provano, le ragazze
più spesso nelle sagre, la risolvono in balzi sgraziati, sempre fuori tempo.
Si ritrova dunque la realtà lontano. Nelle cronache.
Nelle rievocazioni delle cronache. Nelle comunità di emigrati, di cinquanta,
cento anni fa.
Ci sono momenti chiave nella vita. In cui
magari non succede niente ma si capiscono (avvengono) cose importanti. Questo
fu il ritorno in paese dopo la finale lungodegenza paterna, nel 1992. C’erano
uno o due rapiti eccellenti in Aspromonte, quindi forse attorno a noi. C’erano
furti in tutte le case, disabitate (tre volte in due inverni anche nella
nostra) e abitate. C’erano liti, con sparatorie, in piazza e agli incroci tra i
“pazzi”. E c’era stata una bomba ad alto potenziale al portone dei Carabinieri,
allora in un’ala del Municipio (poi si sono chiusi in un edificio isolato, con
sbarre di protezione). Ma i carabinieri si occupavano di controllare il caffè
degli impiegati pubblici.
Era l’autunno di “Mani pulite”, e i carabinieri
si adeguavano. A una certa ora la mattina, non tutti i giorni, controllavano chi
c’era e chi no in Municipio, tra quelli che figuravano presenti. Denunciando
gli assenti - con vari bolli e protocolli. Che poi venivano regolarmente
giustificati “per motivi di servizio”.
Le processioni hanno preso nel 2014 il posto
del caffè degli impiegati pubblici? Ora ci vuole il video, che faccia il giro
del mondo su internet. È già un progresso tecnico.
leuzzi@antiit.eu
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