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venerdì 28 novembre 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (227)

Giuseppe Leuzzi

Palermo corrotta Sicilia infetta
Non si può nominare un procuratore Capo a Palermo perché i giudici palermitani litigano. Non è la prima volta: la Procura di Palermo è sempre nido di forti dissidi, molto violenti. Che meglio si configura come “palazzo dei veleni”, come viene chiamata, insidie nascoste, camuuffate. Come il Comune di Palermo. Come la Regione Sicilia, che ha sede a Palermo. Nelle tante stragi che la città ha subito, anche di giudici, c’è la città stessa, non solo Riina e le belve umane.
Tutto a Palermo è corruzione. Di denaro e dell’animo. E violenza. Sarà questo il problema della Sicilia, altrimenti un paradiso in terra? Fuori Palermo tutto è normale nell’isola. Anche fattivo, operativo, industrioso. Fuori Palermo, e dovunque la città radica i suoi tentacoli, nelle Procure, i Tribunali, gli affari, i giornali, tutto è presto infetto.

Le stragi dei giudici e i veleni del palazzo di giustizia si intrecciano. Sono della stessa natura e probabilmente della stessa matrice. Basti quello che Rocco Chinnici pensava e ha lasciato scritto di Lo Forte e Sciacchitano – tutto vero, confermato tre anni fa Michele Costa, figlio di Gaetano, altro Procuratore Capo assassinato dalla mafia. Lo Stato-mafia ne è l’epitome, di cui non si sa misurare la sordidezza. Un falso processo dietro il quale la Procura di Palermo cela il suo totale lasciar fare alle mafie. Nel mentre che tiene in scacco la politica e la stessa azione repressiva, di carabinieri e polizia. E in soggezione, grazie ai tanti giornalisti affiliati, le buone coscienze e l’opinione pubblica. 

Autobio
L’affetto ai luoghi Guido Morselli dice nel “Diario” “il più forte di tutti gli amori”, “un’affezione squisita e stupenda”, un affetto puramente gratuito”. Incomprensibile più spesso, come gli amori: cosa ci lega ai luoghi natii, dell’infanzia, della prima scuola, nell’arco di una vita i segmenti forse nemmeno più lusinghieri e a volte anzi negativi? E comunque a ogni epoca ingrati, o quantomeno indifferenti. Il luogo natio è indifferente al ritorno - ha anche problemi a ricordare.
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Trovo Radicena in un pezzo estivo di Goffredo Buccini sui delitti storici, a proposito di una ragazza di quel paese, nome d’arte Mary Pirimpò, di cui il “Corriere della sera”, “una brutta mattina di gennaio” del 1953, titolava: “Uccisa a rivoltellate e gettata nell’Olona «Mary Pirimpò», ex attricetta del varietà”. Maria Boccuzzi detta Mary, che resterà negli annali come la Marinella di De André, veniva appunto da Radicena ed era finita male.
Si diceva allora andare a Radicena”, come “andare a Pedavoli”, la parte per il tutto, pur essendosi i due paesi da tempo accoppiati, Radicena a Iatrínoli, Pedavoli a Paracorio, assumendo un nome nuovo, rispettivamente Taurianova e Delianuova. “Siete di Pedavoli” era l’interrogativa affermativa, anche se eravate di Paracorio. E la cosa non poteva essere altrimenti “vera”.
I due paesi, Pedavoli e Paracorio, benché contigui senza soluzione di continuità, erano diversi in tutto, di etnia probabilmente, e modi di essere, di esprimersi, perfino di accento, e di operare. E lo sono tuttora. Le famiglie sono ora indifferentemente mescolate, ma se ne riconosce, e se ne precisa sempre, l’origine.
Giovannino Palumbo, gestore del ristorante “Le vie del gusto” con l’ottima cuoca sua moglie Grazia Battista, ha recuperato come segnatavolo in ceramica i nomi dei vecchi quartieri, e trova che a tutti piace stare nel proprio. Scoprendolo però – i più – ora, con qualche confusione, anche i nomi sono stati cancellati.

L’Aspromonte è la “montagna sul mare” di Isak Dinesen. Che non può essere, e quindi non è: o non l’ho letto nei suoi racconti, o lei non si riferiva all’Aspromonte. Ma lo stesso mi fa girare per la montagna in compagnia, di una scrittrice squisita, benché persona probabilmente sgradevole. L’aria pulita e potente, i rumori remoti, della vita non ingombrante, il picchio, una sega, una marmitta che ansima, che mai sovrastano l’acqua e il vento, lo scroscio delle cascate, il gorgoglio delle fiumare, e anzi vivificano, accentuando una solitudine grata, animata, e l’elevazione, l’immedesimazione. Come se ci fosse più purezza, e forse c’è, se ha effetti confortanti.

La decadenza si manifesta e si consolida con l’abbandono dei miti. La morte della religione dopo la morte di dio – dove conduce l’io-e-il-mio-Dio della Riforma lo sappiamo bene da Nietzsche, i vescovi farebbero bene a leggerlo. I vescovi di Palmi e Locri che ci hanno proibito le processioni non sono luterani, sono ordinati. Non nel senso del sacramento ma dell’ordine borghese, del decoro, la proprietà, i buoni sentimenti e la ragione spicciola. Di ogni cosa al suo posto, smacchiata e, se possibile, inodore. Figurarsi poi il sudore.
Non c’è più la divinità dell’uomo. Non c’è nemmeno la divinità, il concetto. Il divino esiste solo se incontra l’umano, nel mito, nel rito, nell’inconscio.

Prima del paese, sulla fiumara Petrilli, c’era la “machina” - frantoio ad acqua – di Micuzzu, il mio bisnonno Domenico. Poi distrutto dalla mafia di Castellace, e da mezzo secolo rudere. Ma niente la ricorda. Eccetto una pubblicazione dei compaesani emigrati a Perth, in Australia, che nella piccola guida al loro paese di origine, a opera di Domenico Italiano, ne fanno menzione e ne danno spiegazione.
In paese l’invidia sociale è la regola di vita. Soprattutto verso chi si è acquisto un qualche merito, magari di gratitudine.
Non c’è del resto in paese una pubblicazione come quella, che gli emigrati a Perth hanno realizzato, per consacrare la memoria. Domenico Italiano invece sa dire dottamente in poche parole la storia complessa dei due borghi che compongono la comunità, e insieme la nostalgia, l’identificazione, religiosa, di quartiere, di famiglia, e cosa di essa si fa sopravvivere a Perth.
Anche la Madonna: se ne andrà la sua memoria a Perth? L’inno della processione ora abolita, che pure anticipava papa Francesco, Bonasira Vi dicu a Vui, Madonna”, con la coda accorata, “Facitimmilla, Madonna mia,\ facitimmilla per carità, \ e se la grazia non ti la dà…”, solo il loro annuario lo registra. La parrocchia dà un volantino con i canti anonimi della nuova liturgia.
I compaesani di Perth hanno anche la festa delle castagne e delle soppressate. Con ballo: si balla la tarantella. Da noi non si suona più e nessuno saprebbe ballarla – quando ci provano, le ragazze più spesso nelle sagre, la risolvono in balzi sgraziati, sempre fuori tempo.
Si ritrova dunque la realtà lontano. Nelle cronache. Nelle rievocazioni delle cronache. Nelle comunità di emigrati, di cinquanta, cento anni fa.

Ci sono momenti chiave nella vita. In cui magari non succede niente ma si capiscono (avvengono) cose importanti. Questo fu il ritorno in paese dopo la finale lungodegenza paterna, nel 1992. C’erano uno o due rapiti eccellenti in Aspromonte, quindi forse attorno a noi. C’erano furti in tutte le case, disabitate (tre volte in due inverni anche nella nostra) e abitate. C’erano liti, con sparatorie, in piazza e agli incroci tra i “pazzi”. E c’era stata una bomba ad alto potenziale al portone dei Carabinieri, allora in un’ala del Municipio (poi si sono chiusi in un edificio isolato, con sbarre di protezione). Ma i carabinieri si occupavano di controllare il caffè degli impiegati pubblici.
Era l’autunno di “Mani pulite”, e i carabinieri si adeguavano. A una certa ora la mattina, non tutti i giorni, controllavano chi c’era e chi no in Municipio, tra quelli che figuravano presenti. Denunciando gli assenti - con vari bolli e protocolli. Che poi venivano regolarmente giustificati “per motivi di servizio”.
Le processioni hanno preso nel 2014 il posto del caffè degli impiegati pubblici? Ora ci vuole il video, che faccia il giro del mondo su internet. È già un progresso tecnico.

leuzzi@antiit.eu

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