A Villa Manin di Passariano, in provincia di
Udine, enorme, restaurata e adibita a esposizioni, la ragazza della
biglietteria sgrana gli occhi alla notizia che i visitatori vengano da Roma:
“Da Roma?” Per lei è un posto remotissimo.
All’Alpe di Siusi l’anziano addetto
all’impianto di risalita sotto il Sassolungo sorrideva ai suoni romaneschi. Aveva
fatto a Roma il servizio militare. Era l’unica esperienza svagata di molte
vite.
Almeno nell’antipolitica il Sud un primato ce l’ha,
letterario. Tre dei quattro dei romanzi che hanno imposto l’antipolitica subito
nella letteratura postrisorgimentale vengono dal Sud: Matilde
Serao, “La conquista di Roma”, 1885, il siculo-napoletano De Roberto, “I
viceré”, 1891-4, e poi “I vecchi e i giovani” di Pirandello, una sorta di anteprima
del “Gattopardo”.
Il quarto, primo in ordine di tempo, è stato “L’eredità
Ferramonti” di Gaetano Chelli, scrittore di Massa – di Massa e Carrara. Ma Tito
Livio i massesi vuole sanniti trapiantati dai romani, per punizione – mentre gli
apuani, sempre per punizione, trapiantavano nel Sannio.
Gi arabi “avevano raggiunto per mare perfino il
Piemonte”, dice Prezzolini ai suoi studenti americani negli anni 1930 (“The
Legacy of Italia”, 1948, tradotto come “L’Italia finisce”, p. 27). È vero: la storia,
che allora si sapeva, è stata dimenticata. La storia è mutevole.
Sud
Il Sud non è cominciato con l’unità.
Prezzolini, “L’Italia finisce”, ha un paio di argomenti solidi in proposito:
“Il potere temporale dei appi, strategicamente stato nel mezzo della penisola,
fu in parte responsabile di una caratteristica permanente dell’Italia, e cioè
della divisione fra Nord e Sud, divisione che durò politicamente fino al 1860,
ma che nelle relazioni sociali è sentita anche oggi. Queste due parti erano
essenzialmente diverse nell’economa, nell’arte, nel governo: la storia
dell’Italia meridionale è in realtà la storia di Napoli., proprio come la storia
della Francia è in gran parte quella di Parigi”. Salvo che, aggiunge, la storia
dell’Italia settentrionale fu sempre divisa e divisiva.
C’è un Sud degli odori. Colette lo evoca nella
sua réclame dei profumi. È il Sud di
un profumo “piuttosto bruno che biondo, e più profondo che puntuto. Attuale, ma
capace di svegliare nella nostra memoria olfattiva quei notturni spiriti
meridionali che camminano nell’aria dopo mezzanotte, salgono la scala, forzano
tutte le chiusure, e s’impongono al nostro sogno”.
Grecoromani.it ha – aveva? – questo esergo:
“Gente da cui i padani non possono trarre alcun profitto e nessun prigioniero.
È guerra etnica”. Ma i padani non farebbero guerra se non ne traessero
profitto.
E la guerra? È etnica ma con molti con molte
defezioni – di prigionieri forse, ma collaboratori volontari e anzi entusiasti.
Shakespeare meridionale? È quella che gli
mancava, tra le sue tante incarnazioni. Una era stata tentata di uno Shakespeare
fiorentino, trasportando il suo amico Florio da Parghelia a Firenze. Alla
mancanza provvede Prezzolini, altro toscano nato “per caso” a Perugia, ma umbro
itinerante, al modo di san Francesco, dapprima a Firenze, poi a New York,
Parigi, New York di nuovo, Vietri sul Mare e infine Lugano, per farsi tassare
meno la grama pensione americana, dove morrà centenario dopo due mogli. In
“L’Italia finisce” propone il quesito: “Sarebbe il caso di chiedersi se
Shakespeare non sia più meridionale di Dante, e Dante più nordico di
Shakespeare. Certo, la libertà e la franchezza d’espressione di Shakespeare mal
si conformano alla abituale ipocrisia del comune modo di parlare del tipico
«gentleman» inglese”.
Ciò malgrado - l’autodidatta è fatto così – “meridionale”
non è però un complimento. “Il rigore logico e l’unità di pensiero e di azione
di Dante”, continua Prezzolini, “poco han da fare con la rilassatezza morale
comunemente associata al carattere italiano”.
La
bellezza non sta al Nord
Tra i divertimenti di Camilleri nell’ultima
raccolta c’è la ragazza milanese “emigrata” a Vigata, dove fa la barista. Che
descrive antropologicamete, “tipicamente”, come si scriverebbe della ragazza
tipo mediterranea o meridionale nella scrittura milanese: “’Na biunna splapita
e tanticchia caprigna, ‘nsignificanti, l’occhi cilestri senza ‘spressioni come
a quelli di ‘na pupa”. Niente di eccezionale, ordinaria. E nessuno si
meraviglia che una ragazza milanese faccia la cameriera a Vigata. Nessuno la
corteggia, nemmeno, che in Sicilia è un dovere: “’Na picciotta accussì anonima
che era come se non ci fosse”. Peggio: “Come una bambola gonfiabile, solo che è
viva”.
L’apparenza non è vera, e la picciotta sarà
vittima della perfidia siciliana. Ma perché no? Almeno questo: non si può dire
che la bellezza stia al Nord.
La
Sicilia al Quirinale
Giornata da incubo in piazza del Quirinale, per
lo sbarco dei palermitani martedì 28. Quelli che vogliono lo Stato piegato alla
mafia. Dopo che lo Stato glieli ha messi dentro tutti.
Non si saprebbe invaginare la mafia altrimenti.
Ora fanno quadrato attorno a Messina Denaro, ma sono nella ridotta. Da qui lo
sbarco a Roma. I giudici in fuoriserie a tripla corazza coi vetri fumé, i
giornalisti saccenti, insinuanti, e poi gli avvocati. Di Riina, di Provenzano,
di Ciancimino, e di altri onorati mammasantissima, pluriomicidi.
Uno è contento nell’occasione di essere governato
da Roma e non da Palermo, come sarebbe stato possibile. O da Napoli – purtroppo
anche da Napoli: un altro presidente li avrebbe mandati a farsi fottere.
Se non che Palermo e Napoli uno se li ritrova
dappertutto nell’apparato repressivo, dalla Questura alla Cassazione. Non c’è
dunque salvezza, dopo aver vissuto una vita e una storia stretti nella morsa.
Geografica, per chi è nato e cresciuto in Calabria, e istituzionale: questori,
prefetti, procuratori, giornalisti. Una scuola di malaffare non sopravanzabile,
e per questo invincibile. Ecco dove sta il “Sud”, e ben solido, è inutile girarci
attorno.
leuzzi@antiit.eu
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