sabato 15 novembre 2014

C’è i cinesi, mah!

Pompa, intelligenza e attivismo al vertice Apec di Pechino, tra le potenze del Pacifico. Tutto l’opposto del torpido vertice, un mese prima a Milano, dell’Asem, tra Asia e Europa. Basterebbe questo per sancire l’isolamento dell’Europa nello scacchiere mondiale in sommovimento. Un autoisolamento in realtà, imposto dalle politiche europee, provinciali e limitate, se non sono suicide. Per l’incapacità del blocco teutonico dominante, la Germania coi suoi satelliti, dal Baltico alla Spagna. Ma non ci sono altre idee o iniziative in Francia , o in Gran Bretagna, o in Italia.
Il vertice Asem si è tenuto anzi proprio in Italia, nella disattenzione. A Roma, sulla strada per Milano, il primo  ministro cinese Li Keqiang ha portato investimenti per otto miliardi. Con la Cassa Depositi e Prestiti, col Fondo Strategico Italiano, con l’Enel, con l’Agusta Westland, Banca Intesa e altri. Silenzio. La Cina è, probabilmente, il primo investitore estero in Italia, con partecipazioni, anche di controllo, in 327 imprese, per un ammontare totale di altri otto miliardi. Ma è come se non ci fosse.
C’è i cinesi si diceva un tempo in Toscana per ridere dei cecinesi, che all’allocuzione del primo comizio politico scapparono intimoriti dal pericolo giallo. Si diceva per ridere, gli abitanti di Cecina sono industriosi e sanno come va il mondo. Ma per la torpida politica italiana forse no. Non sa dov’è la Cina e non se ne cura.
Oggi la percezione è diversa, rispetto alla fobia degli anni 1920-1930, e alla paura della guerra fredda: l’investimento cinese, benché pubblico, quindi di partito (e di polizia) è ritenuto solido, non speculativo. L’investimento americano è sicuramente maggiore: si calcola in 35-36 miliardi, il 17-18 per cento della capitalizzazione attuale di Borsa, sui 200 miliardi, mentre la Cina è ferma a 7-8 miliardi. Ma le quote americane sono volatili, quelle cinesi sono invece ritenute stabili. “Strategiche”, proprio perché di banche e società di Stato.  Tra questi la partecipazione della Banca Centrale Cinese, col 2 per cento più qualcosa, in Fiat, Eni, Enel, Generali, Mediobanca, Telecom Italia, Prysmian. Più le quote di rilievo di altre aziende cinesi, che ora hanno il 35 per cento della Cdp Reti, la società della Cassa Depositi e Prestiti che controlla le reti elettriche e del gas, e il 40 per cento di Ansaldo Energia. E hanno consentito di rilanciare la gara per Ansaldo Trasporti (Ansaldo Breda e Ansaldo Sts), che languiva da dieci anni.

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