sabato 15 novembre 2014

“Come il ginepro”, guida al fenomeno Merini

“Ninfa innamorata”, la dice Mastrantonio nella presentazione, “casta meretrice, musa di se stessa”. Nonché patrona dei Navigli popolareschi fino a trent’anni fa, prima che Milano dimenticasse se stessa, col recupero urbano di immobiliaristi e archistar. Nel successivo terzo del libro Alda Merini celebra, di ritorno a Taranto, col secondo marito Michele Pierri, tutti i Pierri e le Pierri. Una bagno di umanità. Ma non può fare a meno di Milano, dove ritrova, nell’ultimo terzo della compilazione, la memoria del dolore mentale. Al quale con più convinzione oppone il rifiuto della medicina – nella persona dello psichiatra Rino Escalante – e l’intangibilità corporea dei sensi. Che sono la sua poesia, di musa “nuda nei versi” (Mastrantonio) - ma non fredda.
È un titolo poco meriniano, crepuscolare. E una raccolta promiscua, Ma su cui, proprio per questo, si potrebbe cominciare a chiarire il “fenomeno” Merini, fin qui sfruttato come roba di mercato, se non di baraccone. Che per questo forse Maria Corti collazionò a suo tempo e confidò all’editore Manni, che la pubblicò postuma nel 2009. La prima plaquette, “Satire”, una galleria di personaggi dei Navigli, è redatta in puro stile “poetico”, in endecasillabi per lo più. Con prosodia scostante, spenta anche, malgrado gli eccessi di figurazioni e comportamenti. Su modelli sbiaditi, Carlo Porta, il teatro dialettale, e perfino Pigalle – “nei giardini segreti della Ripa\ Pigalle è presente”. L’“Antologia Pierriana”, la serie di omaggi alle donne e gli uomini Pierri,  è studiata: d’impianto elegiaco, sul genere dedicatorio, se non di veri e propri calchi classicheggianti, con rime anche ricercate – tacere-voliere… Nella terza parte, quella del titolo, il secondo componimento, “Soavità del nulla”, è una successione di echi colti, dalle “rosee dita” alla “Pentecoste del male”.
Un’antologia non esemplare della migliore Merini. A parte forse la “Canzone del’amore spento”. Di umori qui instabili, superficiali: leghista in anticipo (“La Siciliana”), catturata e confusa dalla “donna del Sud” (“Antologia Pierriana”), stramilanese (“benedetta Milano”). La deiezione vivendo ancora con risentimento. Ma abbastanza per incidere la coltre d’inconoscibilità che il “fenomeno” ispessisce. Molte radici scoprendo: la follia naturalmente, e l’umiliazione, l’offesa più grave - anche con Manganelli e gli altri cui piaceva la carne tenera – e l’autobiografia alla quale lei stessa volentieri indulge. Ma con fondi compositi solidi: di formazione classica, umorismo, civismo, e religiosità, senso acuto della vita.Accentuati, senza più riserve, nelle “Quattro prose” finali, speciale “La fede” e “La magia”.
Giulio Ferroni curiosamente, introducendo l’edizione Manni cinue ani fa, dice l’opposto, la vulgata accreditando di una “assoluta, immediata, intenzionalità poetica (quasi fuori tempo estranea ad ogni programma di poetica, ad ogni identificazione di modelli intellettuali, ad ogni confronto con la “storia”)”. Come di un furore da medium.  Che è possibile. Un’indagine resta da avviare sulla schizofrenia, una delle forme di schizofrenia alla quale evidentemente si accompagna la facilità di versificazione, da Hölderlin, in epoca conosciuta, fino oggi a Saro Napoli (“Incom”). Ma col dubbio, nel caso Merini, di un medianismo consapevole, addestrato. Isolato nella comunità letteraria, ma questo è un altro problema.
“Io sono come il ginepro”, Alda si professa al secondo marito Michele Pierri, e intende inafferrabile, che come la gazzella scappa “al primo rullo,\ perché anche un bacio, amore,\ fa un rumore sottile”. Legandosi forse all’unisessualità. Ma anche al gin, di cui si saziava, l’alcol a buon mercato, e chissà alle proprietà lenitive.
Alda Merini, Come polvere o vento, Corriere della sera, pp. 112 € 6,90

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