Un Hamsun
inedito, in questi racconti e bozzetti dispersi, pubblicati su giornali
norvegesi, danesi e americani, recuperati dopo la morte dello scrittore dal
critico norvegese Lars Frode Larsen, subito tradotti sessant’anni fa, e poi
abbandonati. Scritti nel pieno della maturità letteraria di Hamsun, tra il 1884
e il 1906, ma non collimanti col calco whitmaniano che è la sua maschera postuma,
di uomo semplice di campagna, ispirato dalla natura, spirito anarcoide,
irriducibile all’autorità, e alla piattezza della vita urbana e borghese. La
raccolta ne conferma la qualità di scrittura, ma in un altro quadro. Di
giovanissimo iperletterato. E accidioso. Pieno di tic molto urbani, e anzi paranoide.
I primi racconti
sono del letterato ventenne “determinato raggiungere il successo, sicuro del
proprio talento”, come nota nella perfetta presentazione Fulvio Ferrari. Sono
successivi ma fissano quell’esperienza, dunque caratterizzante per lo scrittore.
Un ventenne che ha già pubblicato due romanzi, “Il misterioso” e “Biørger”, e
un poema, “Un rincontro”, è disceso dal Nordland alla capitale Kristiania
(Oslo) per farsi un nome, e a questo fine gira i giornali e organizza conferenze
sui migliori nomi su piazza, Strindberg, etc.
Una
raccolta sempre da leggere, seppure ineguale. Ma curiosa. Smentisce la favola di
un Hamsun uomo della natura e quasi naïf,
anarchico individualista e beffardo, che è venuta buona nella posterità per
esorcizzare il suo nazionalismo pangermanico, e infine l’ubriacatura per
Hitler. C’è il risentimento ancorato all’ironia. Il racconto lungo “Il mio compagno
di viaggio” è anzi da paranoia. Non ingiustificata nell’economia del racconto. Ma
anch’esso, come un po’ tutti i racconti e i bozzetti della raccolta, intinto
nell’ipocondria, con una forte dose di misantropia. Kristiania non va bene,
Bergen neppure, né Lillesand, dove vive, borgo di scemi, le ragazze, ingenue,
belle e anche virginali, finiscono “dietro i portoni”, e pure gli amici sono
importuni. La raccolta si legge come un autoritratto compito dell’autore,
ripetuto, ribadito. Ce l’ha perfino coi morti, uno spreco, tutti quei marmi, i fiori,
le pulizie costanti, “tutto questo capitale morto”, “un capitale pietrificato”.
È un Hamsun
attivissimo. Gli anni che si rifletteranno in questi racconti e bozzetti, nel
mentre che organizzava conferenze, lo
vedono due volte negli Stati Uniti, nel febbraio 1882 per un paio d’anni, e nel
1887 per un altro anno, tra mille progetti, tentativi, mestieri, impiegato
postale ad Aurdal, infine scrittore affermato –“Fame” è del 1890, “Misteri” del
1892, “Pan” del 1895. E tuttavia lagnoso, abitudinario di nessuna abitudine,
lunatico – anche in senso etimologico (p. 143). Ridicolizza “Punch” e le
caricature, lui che ne è specialista. Al punto che non incontra altro per
strada, lamentando: “Che vuoi farci? Sparta internava i suoi storpi…”.
I cattivi
umori di “Cattive giornate”, il penultimo testo della accolta, che è del 1897, nel
pieno della gloria, Ferrari legge elegantemente come una satira di Strindberg,
“notoriamente una delle figure più ingrate della storia della letteratura”, che
Hamsun ammirava molto e aiutò, a Parigi e in Norvegia. Ma è solo un bel
“racconto” di Ferrari, nessun riferimento a Strindberg è possibile, l’astio è
troppo. E del resto i cattivi umori seguitano nell’ultimo racconto, “In
clinica”, quasi dieci anni dopo, nel 1906.
Questi “Frammenti”
aprono un’altra dimensione, non necessariamente riduttiva, di Hamsun. Lui
probabilmente avrebbe protestato, alla sua riduzione postuma a vate della
natura. Se un corretto giudizio storico fosse possibile, non ne avrebbe
comunque bisogno. Tarmo Kunnas, che l’ha studiato a lungo - da “La tentazione
fascista”, 1972, a “L’avventura di Hamsun “ in via di traduzione, e ora,
insieme con un’ottantina di grandi intellettuali tra le due guerre, in un
voluminoso “Il fascino del fascismo” – dice di Hamsun: “Era un patriota
norvegese. Poteva deridere il razzismo di Quisling (il governo norvegese collaborazionista
durante l’occupazione tedesca; n.d.r.), ma nel suo cuore aveva l’idea della
grande Norvegia germanica”.
Il segno
distintivo resterà quello delineato dal prefatore di un’altra edizione Oscar di
Hamsun (“Pan”), Anton Reininger, che ascrive Hamsun all’area germanica: pensava,
scriveva e si ritrovava nella cultura germanica, da cui era stato peraltro
subito riconosciuto e apprezzato. Singolare l’assenza dell’“America”, sia come
fatto culturale (letture, riferimenti) sia come valori, modi di essere e di pensare,
giusto il rifiuto – “Come, come, cheapest
milk & wine”, l’insegna di una chiesa del Wyoming è l’unico ricordo.
Knut
Hamsun, Frammenti di vita
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