domenica 9 novembre 2014

Il romanzo della natura

Pubblicato nel 1928 e quindi inviso al fascismo, ma “segato” pure da Gramsci nei “Quaderni” -  forse faziosamente - e quindi inviso al secondo Novecento, è una delle poche opere del secolo breve che reggono alla rilettura. Tratta anche dell’emigrazione, ma poco, per far maturare gli eventi che compongono la trama.
È una storia locale, di una comunità chiusa, ma nient’affatto provinciale. Ariosa anzi, e piena di vita, pur in mezzo alla povertà, la malattia e la morte. È un racconto unico di vita contadina. Con una eccezionale, ineguagliata che si ricordi, capacità di far parlare la natura. Rende vivi e partecipi la terra, gli ulivi, le querce, le albe, le notti, la rugiada, la pioggia, i venti, le stagioni, la sporcizia anche e il fango, i  frutti, ogni ortaggio, e all’ora e alla stagione giusta i cardellini, le capinere, l’assiolo, i tordi, i fringuelli, ogni filo d’erba, ogni goccia d’acqua. Rileggendolo in questo mezzo autunno di temporali, o bombe d’acqua come si vogliono, tutti i fenomeni che oggi ingombrano l’informazione come di evento eccezionale si trovano previsti e descritti in dettaglio in questo che pure è un romanzo, di quasi un secolo fa, di una piccola e arretrata comunità rurale.
Con la natura si esaltano i destini della gente che la vive senza storia. Che la vive però intensamente sempre e anche drammaticamente, alla nascita, alla morte, negli attimi rubati al piacere. Senza soccombere: i suoi innominati sono legati alla vita, alle abitudini, agli affetti anche, e alla fede, che è, come deve essere, cieca e assoluta, e ogni ostacolo soverchia.
Vicino anagraficamente e geograficamente di Corrado Alvaro - “Pandore”, il luogo del racconto, è Careri, paese natio dell’autore, sotto il monte Pandore, a pochi minuti da San Luca, il paese di Alvaro -  Perri ricrea i suoi luoghi con altrettanta verità, ma in tutt’altra temperie. Di vita nella morte. Nella fede. Nella procreazione pure. Nel bicchiere di vino. E nella disgrazia: la bufera, la frana, l’emigrazione. Senza diventare stereotipi, né i personaggi né le situazioni. Pieni di umori sempre, vogliosi, reattivi. Tutti caratterizzati e in divenire, seppure su fondo arcaico.
Un altro Aspromonte, negli stessi luoghi, paesi, anditi, e con le stesse persone di Corrado Alvaro.  Due anni prima di “Gente in Aspromonte”, con cui Alvaro ne fisserà invece la leggenda nera. Sempre rimanendone angustiato, se non disgustato, malgrado i vincoli familiari. L’ostracismo a Perri e i suoi “Emigranti” è per questo due volte censurabile. Che lo stesso San Luca, le sue donne, sa far rivivere come un altro mondo, la loro parlata trovando armoniosa e musicale, i loro abiti sgargianti una gioia dell’occhio, i loro sguardi sfuggenti una sfida. Un mondo dove c’è umanità, e non per obbligo di fede politica.
La lettura superficialissima di Gramsci si ferma all’iniziale occupazione delle terre. Di cui non ha colto la natura sinfonica, introduttiva: a un mondo povero perché incolto, e viceversa, ma non di intelligenza, e di una sua etica. Dominata dalla fede, cioè da una volontà invincibile, a qualsiasi avversità. Come poi sarà in questo “romanzo dei poveri”. Non un romanzo sociale, né politico, se non per poche pagine, stinte per di più nella storia, la lunga durata. La sottile parodia che sottende l’abborracciata occupazione è perfino brechtiana in anticipo, una presa di distanza per meglio mettere a fuoco il chiuso mondo di Pandore. Che si piegherà all’emigrazione, ma controvoglia e quasi contro natura, per restarne subito contaminato e infetto.
Francesco Perri, Emigranti, Qualecultura-Jaca Book, pp. 248 € 14,50


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