Dunque,
tutti a piedi a Roma. Anche per non aspettare indefinitamente il bus elettrico,
che ha il dono di perdersi per strada. E dentro il Colosseo spettacoli nell’arena.
Di gladiatori? Si vive a Roma con un senso d’irrealtà. Ma inquieti: si sa, si
annusa, che la cosa è ben reale e traumatica.
Pedonalizzare
il centro di Roma, una città monumentale con 100 mila abitanti, non è opportuno,
e la storia recente lo ha dimostrato. Non è nemmeno una necessità: la chiusura
del centro non riduce l’inquinamento, Roma lo potrebbe fare solo con un sistema
di trasporto pubblico affidabile e diffuso. L’ecologia delle isole pedonali si
può “vendere” alle principesse che non sanno di che parlano, e ai giornalisti per
natura approssimativi. Tutti gli altri ormai sanno di che si parla. Ma è quello
che il sindaco ligure-americano-siciliano Marino vuole fare, l’unica cosa di
cui si occupa – si occupava prima dei matrimoni gay.
Le isole
pedonali sono la morte delle città. In favore di interessi minuti ma
consistenti. Del partito dei fondaci o pianiterra a prezzi d’affezione. Dei
garages sotterranei a prezzi anch’essi d’affezione in ogni piazza. E di un commercio
che nasconde il malaffare. Agli affitti stratosferici corrispondono insoluti
altrettanto stratosferici, sulla carta. Che però non bloccano il business degli affitti e anzi lo alimentano.
Liberando soggetti e entrate non dichiarabili. Un intreccio d’interessi che
tutti sanno, anche se non se ne parla. I bancarellari di ogni tipo che con
immediatezza ingombrano ogni spazio pedonalizzato ne danno del resto rappresentazione
visibile, essi stessi terminali di questo business dell’abusivismo criminale
non tanto segreto, tra mercato dei clandestini, delle residenze, delle licenze,
delle copie contraffatte.
Le
pedonalizzazioni spinte sono un fatto di malaffare. A partire dalla testa,
dalle decisioni urbanistiche. A opera del “partito degli architetti e ingegneri”
che da un ventennio buono, dalla prima giunta Rutelli, domina la capitale. Tanto
disinvolto e corrotto che una Procura solo un po’ meno indecente l’avrebbe
messo in chiaro. E questo è il vero nodo a cui Roma sta per essere appesa: la
politica. Che non si può criticare perché si dice, furbescamente, di sinistra.
L’avesse
fatta Alemanno la proposta dell’arena al Colosseo, i suoi non si dilettavano di
festeggiare vestiti da antichi romani?, ci saremmo giustamente indignati.
Invece la fanno Franceschini e Carandini, uno ministro della Cultura, l’altro
presidente del Fai, inflessibile guardiano dei monumenti, e non proviamo
nemmeno a riderne. Perché finiscono in –ini?
Ma Franceschini,
ce l’ha il fisico per fare il gladiatore? O gli spadini saranno di cartone? E Giovanna
Marinelli, l’assessore alla Cultura che Marino ha trovato dopo due mesi di
ricerche – nessuno voleva il posto? Che ruolo avevano le donne nell’arena? Con
i pepli certo, in armonia coi centurioni romani in elmo e coturni che attorno
al Colosseo vivono di selfie. Potrebbe
premiare i vincitori alle corse di bighe: perché non rifare le corse al Circo
Massimo? Ne hanno fatte tante nei film di “Ben Hur”. Senza scandalo: l’arena al Colosseo è solo una idea di appalto-con-concessione, che si facciano senza gara.
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