La fascinazione, il tarantolismo
pugliese, la magia “lucana”, la jettaura a Napoli, saggi vecchi e vecchissimi.
Probabilmente già sessant’anni fa, quando venivano elaborati. Sopravvivenze.
Nemmeno: pratiche rimembrate, di tempi remoti, folklore.
Nella
riedizione, però, Galimberti rileva in De Martino una robusta nozione del
magico – “molto più di quanto l’abbiano colta le pagine numerose e documentate
di L.Levi-Bruhl e di M.Mauss” - e Frazer? - che restano in tema i punti di riferimento: il
senso religioso del magico, come di ogni mitologema. Insieme irrazionale e razionale.
Un punto di vista molto semplice, anche istruttivo in questa epoca in cui si
cancellano le processione e i riti in genere come “pagani”. Per uno scadimento
delle scienze umane e cognitive. A cominciare dalla nozione di paganesimo, confusa
ma dotata di senso spregiativo, e questo basta. Mentre sta, si sa, per religiosità “popolare”, o incorporazione della religiosità.
La
pratica magica, quando ancora si dava, e tuttora la pratica religiosa, sono “i
luoghi delle sicurezze”, come argomenta Galimberti, così come ogni elaborazione
mitologica, “abitando i quali è possibile affrontare l’incertezza della vita
quotidiana”. Metafisica e anche pratica, di mezzi e sforzi – così come “luogo
della sicurezza è anche la ragione
con le sue pratiche operative”. Galimberti trova la specificità di De Martino,
rispetto ai repertori di Levi-Bruhl, Mauss e dello stesso Jung, nella “saldatura
tra magia e storia, e nel rapporto tra storia
e metastoria che ogni magia
inaugura”. Che coglie “l’essenza del magico” e la sua “ineliminabilità” – che
“questo sfondo sia ordinato da Dio o dalla ragione non è importante perché importante
è quel vissuto soggettivo” che dà e prende forza dalla credenza contro “il
negativo che minaccia di continuo l’esistenza dell’uomo”. Bisogna avere fede
per credere nella ragione - chi non ha fede (non è capace di, non ha voglia di)
non crede in nulla.
La riedizione è anche
una testimonianza involontaria di com’è cambiato il Sud. In cinquanta o
sessant’anni. Posto che fosse come De Martino lo rileva, affatturato: soggetto
alla “antica fascinazione stregonesca, in connessione con altri tratti magici
affini, quali la possessione e l’esorcismo, la fattura e la controfattura”. O
dei limiti del folklore, in quanto studio di sopravvivenze inerti.
Un repertorio da
servire, forse, allo studio dei linguaggi, delle mentalità. Ma in quanto
“storia religiosa del Sud”, come Galimberti la ripropone, ha un che di
provvidamente anacronistico.
Ernesto De Martino, Sud e magia, Ue Feltrinelli, pp. 207 €
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