“Noi grazie a Dio siamo liberali in
politica e in religione, e riconosciamo non l’autorità del Re o del Papa, ma
quella del Parlamento e del Concilio”. Contrario anche all’autorità papale in
materia non di fede, con sillabi e
altri decreti. E nelle questioni filosofiche, il pantesimo, il materialismo, il
razionalismo, che sono opinabili e anzi errori, ma tutti debbono poter
discutere senza condanne: “Il papa ha fatto benissimo a condannare questi
errori”, ma “la quistione è se il Papa, come Papa, dovea condannarli, e noi
rispondiamo che no”. La ragione è perfino ovvia, ma bisogna dirla: “Il Papa,
come Papa, non è filosofo; decide in argomenti di fede, non di ragione; le
verità che si provano col raziocinio, e che col raziocinio si combattono non
gli appartengono”.
Detto oggi, sembra ancora eretico.
Detto un secolo e mezzo fa, da un prete, si direbbe blasfemo. Mentre è solo la
verità dei fatti - che la chiesa in realtà conosce anche se non riconosce
(anche da prima del sinodo che il papa ha ora aperto per l’aggiornamento).
Padula ci vedeva chiaro, dal fondo della sua remota provincia, Cosenza, dove
“frati, preti e bizzocchi, avvocati, farmacisti ed i mille ex impiegati del
cessato governo ingannano il volgo sciocco, smaltiscono frottole, inventano
accuse”. Non solo in fatto di Stato e chiesa: contro l’appropriazione della
manomorta, invece del suo utilizzo per usi e finalità di pubblico servizio, per
l’insegnamento laico, per il matrimonio civile, etc. Ma, sempre modernamente,
da contemporaneista in anticipo, contro la burocrazia e la burocratizzazione di
cui il Piemonte subito affliggeva l’Italia.
Questo “stato delle persone in
Calabria”, da cui Carlo Muscetta estrasse nel 1950 il titolo della sua
antologia del “Bruzio”, il settimanale di Vincenzo Padula, il curatore voleva
“la prima inchiesta sul Mezzogiorno dopo l’unità”. Non era avventato, ed è
vero, comparativamente, anzi, un’inchiesta più incisiva e precisa, benché
rapida, delle successive, per quanto organizzate ed elaborate. Ma isolata e
ignorata. In un certo senso dallo stesso curatore.
Il “Bruzio” Padula redasse e editò da
solo – usava: il caso più famoso sarà “Die Fackel” di Karl Kraus, da fine
Ottocento per quarant’anni, anche se nelle prime annate fu aperta a molti collaboratori
- in Cosenza per poco più di un anno,
tra il marzo 1864 e il luglio 1865. L’antologia comprende anche una diecina di
pagine tratte “Da uno zibaldone inedito”, sulle magare e sul santo Martino.
Viene ripubblicata con i testi e nell’ordine impressi da Muscetta per l’editore
Parenti – senza la sua introduzione: Capricci e bizzarrie, Cronache di Cosenza,
Stato delle persone, Storia di briganti, Le industrie e la terra.
Muscetta ritornerà su Padula con
altre antologie. Questo scrittore quindi in qualche modo sentiva suo. Ma dopo
averlo coperto di insulti e apparentamenti derisivi. Forse volendo strappare lo
scrittore a Croce, che lo aveva riscoperto e riproposto cinquant’anni prima, per
farne creatura sua, il permaloso letterato irpino lo insegue per 250
pagine - tanto era lunga la sua
introduzione alla prima edizione di questa raccolta, due terzi della raccolta
stessa – per coprirlo di improperi, acidissimo. Ne legge con attenzione tutti
gli scritti, anche inediti, e la corrispondenza, ma a ogni pagina lo minimizza
e anzi polverizza. Epigono lo dice di Parzanese (? uno di Lariano Irpino),
Betteloni Prati, Poerio, imboscato nel ’48 – quando invece fu sparato, ed ebbe
un fratello ucciso -, etc. Curiosamente incapace di apprezzarne la vena
bizzarra, satirica, scherzosa, bernesca. E la multiformità, in poesia, racconti,
teatro, prose politiche e morali, perfino teologiche, il miglior latinista su
piazza ai suoi anni – da ragazzo in seminario aveva appreso l’“Eneide” a
memoria.
Alla fine Muscetta lo diceva
“geniale e sfortunato”, ma non più che ingenuo, velleitario, al meglio
utopistico. Mentre è realistico all’estremo, e moderno, quasi un contemporaneo,
in palla e col tocco giusto su tutte o quasi le questioni irrisolte dell’unità,
la politica, il Sud, il Vaticano, la scuola, la borghesia, l’agricoltura, le
tradizioni, in una prospettiva pluralista, federalista, moltiplicativa invece
che riduttiva. “Articoli stupendi di pensiero e di forma” trovava Croce questi
stessi scritti. “La sfortuna di Padula” è il titolo dell’introduzione, quasi
una biografia letteraria, di Muscetta. E questo è vero.
Padula chiuse bruscamente il
“Bruzio” il 28 luglio 1865, alla vigilia delle elezioni, le prime vere
politiche, per non poter dire, dirà poi in una rievocazione di Antonio
Genovesi, quello che l’illustre economista stesso non aveva potuto dire un
secolo prima ma confidava all’amico Leone Cortese: “La nazione è povera, volete
sapere perché? Non dite: è la poltroneria, è il lusso, è il malcostume, è il
non esserci più fede, né privata né pubblica. Ciancie. Tutti questi mali non
sono cause, ma effetti della povertà. E donde nasce questa povertà? Non dal
suolo, non dal clima, ma dalla
costituzione politica”.
Vincenzo Padula, Persone in Calabria, Rubbettino, pp.
259 € 5,90
Montecovello,
pp. 218, € 16,90
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