Un libro compilato nel 1933 (ma con
aggiornamenti, evidentemente: c’è “il giorno dell’anniversario dell’Impero”, a
p. 112, “sette sottomarini colati a picco durante la guerra” a p. 125, etc.) a
partire da articoli di giornali, note, appunti, memorie. Come nuovo, d’impianto
resistente, sul presupposto che “i viaggi prolungano la vita”. La stanca Italia
si leggerebbe probabilmente sorpresa.
Alvaro è forse il miglior viaggiatore
italiano del Novecento. Sicuramente quello che, prima di Arbasino, ha visto più
cose – la raccolta sarà seguita dopo la morte da una seconda a una terza, “Itinerario
italiano” n. 2 e n. 3 (“Un treno nel Sud”). Predestinato forse dalla precarietà
famigliare – la raccolta si apre con l’immagine della famiglia paterna sempre
sl punto di partire, dapprima per trent’anni dalla casa dei nonni per una
propria, e poi, quando i figli erano già grandi e lontani, per una residenza
infine propria in città. Ma da provinciale cosmopolita. Sempre curioso. Mai a
suo agio nella società urbana italiana – a Roma, per esempio, su cui si dilunga
inutilmente per più pagine, per trovare un appiglio, una leva, un punto
d’appoggio (vi è a suo agio la notte, quando la città dorme).
Un viaggio in surplace, a distanza. Nella
memoria dunque, più che nei fatti visti e vissuti. Un viaggio straordinario
negli elementi più che nelle persone: l’acqua, la pietra, la maschera mortuaria
di Torquato Tasso, il vetro, il marmo, la pesca d’altura, il mare. Il mare ai
capricci del vento. Con molta Etruria, il mondo di adozione: l’Alto Lazio, la
Toscana, la Maremma, Argentario compreso – e fino al fegato bovino d’obbligo
alla festa di nozze in Romagna. Perfino a Comacchio, l’ostessa “parla etrusco”. E a
Bergamo, “una tradizione dice che Bergamo fosse prima etrusca”. È attraverso gli Etruschi che riesce ad amare
Roma: “Rimase un’eredità, ai Latini, etrusca: l’assenza di favole e di miti
troppo grevi nella loro storia”. Acuto sempre: “Mi trovavo nel mezzo della più
semplice espressione della vita moderna: l’ansia del lavoro quotidiano, che
termina ogni ventiquattr’ore e si rinnova per altre ventiquattr’ore: l’ansia
del domani”. E molti pezzi d’antologia, per sensibilità, intelligenza e misura.
Torino, città modello dell’Europa: “Costruita
come espressione d’una monarchia militare, tramandò la sua struttura fino a
Vienna, a Potsdam, a Praga, a Riga, a Varsavia, a Pietroburgo”. L’ingresso di
Torino e dei Savoia come un’apparizione, a un certo punto, nel libro di storia:
“voltata una certa pagina”, sparivano “il viso e il costume antico dei Camilli
e dei Giovanni dalle Bande Nere”, e “il Piemonte bucava la pagina coi suoi re e
i suoi ministri; il mondo pareva rivestirsi in borghese”. Venezia “un altro
mondo, che è Italia ma remotissima”, dove scopre che “l’architettura è prossima
alla natura, anche i palazzi ducali vi sono d’acqua e vento. Una Ferrara forse più intensa di quella di Bassani,
sicuramente più sorprendente. La famiglia nella
storia italiana, tema poi molto frequentato ma nel taglio di Alvaro no – anche questo
“fu già un fatto etrusco, e fu un fatto romano: lo fu poi di tutta l’età di
mezzo, è il segreto della vita italiana”. Il treno delle mondine, lavoratrici febbrili
e sempre femminili: “Per due giorni, da Vercelli e da Mortara, i treni hanno
trasportato 60.000 mondariso, delle 180.000 che lavorano ai trapianti nelle
risaie, verso i loro paesi in Lombardia e in Emilia”. E ha già il “femminismo”,
che vuole italiano. Un capitolo ricorrente, e per più aspetti notevole, non soltanto per essere anticipatore.
In Italia “il femminismo data da almeno tre secoli, e senza certi avvenimenti che fecero rientrare tante grandi cose italiane, la donna avrebbe occupato naturalmente ben altro posto da quello che, pur notevole, occupò fino all’Ottocento e che sta per riprendere oggi”. Era quello dei grandi narratori: “A pensarci bene, i libri dei nostri narratori dei buoni secoli, più che licenziosi sono pieni di ragazze e di donne, d’una specie di oscuro e ribollente istinto vitale”. E più nel popolo: “La donna nelle società semlici è semprha il suo regno accanto a quello dell’uomo, e non in un mondo sfattodove diventa nemica armata di inquietudini romantiche”. Con un punto di vista attuale, del terzo o quarto femminismo: “In Italia, dove la donna lavora fuori casa, il fenomeno è tutto particolare”…. Perché storicamente il femminismo italiano del Rinascimento non pensò mai di agguagliarsi all’uomo, ma fu un rivelazione delle qualità positive e più femminili della donna”.
In Italia “il femminismo data da almeno tre secoli, e senza certi avvenimenti che fecero rientrare tante grandi cose italiane, la donna avrebbe occupato naturalmente ben altro posto da quello che, pur notevole, occupò fino all’Ottocento e che sta per riprendere oggi”. Era quello dei grandi narratori: “A pensarci bene, i libri dei nostri narratori dei buoni secoli, più che licenziosi sono pieni di ragazze e di donne, d’una specie di oscuro e ribollente istinto vitale”. E più nel popolo: “La donna nelle società semlici è semprha il suo regno accanto a quello dell’uomo, e non in un mondo sfattodove diventa nemica armata di inquietudini romantiche”. Con un punto di vista attuale, del terzo o quarto femminismo: “In Italia, dove la donna lavora fuori casa, il fenomeno è tutto particolare”…. Perché storicamente il femminismo italiano del Rinascimento non pensò mai di agguagliarsi all’uomo, ma fu un rivelazione delle qualità positive e più femminili della donna”.
Con una
prefazione di Carmine Abate, un’introduzione e la bibliografia di Massimo
Onofri, e un’accurata cronologia di Pietro De Marchi.
Corrado
Alvaro, Itinerario italiano,
Bompiani, pp. 380 € 15
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