Lo Zoo è il noto quartiere
di Berlino, brulicante nel primo dopoguerra di russi fuoriusciti, poveri e
ricchi, chiacchieroni e mutangoli, artisti o truffatori, che fanno buona parte
della narrazione, compreso Pasternak. Alla fine Šklovskij alza le mani, si
arrende e torna in Russia, dove sarà rispettato e privilegiato sceneggiatore di
cinema e filologo formalista, col suo amico Roman Jakobson, riprendendo il filo
del giovanile “L’arte come artificio”. Teorico della prosa (“La teoria della
prosa”), di “Marco Polo” o del viaggio, e di altre prelibatezze. Ma anche
autore di narrazioni sparse come questa, il coevo “Viaggio sentimentale”, “Il
punteggio di Amburgo” e altre. E di prefazioni ogni volta diverse a questo
libro. Vivendo novantenne fino ad annusare la perestrojka, nel 1984, sempre di buon’umore.
Molti dei suoi russi torneranno
con lui in Russia, altri si sposteranno a Parigi, a rinnovare la bohème: Remizov, Némirovsky, Cvetaeva,
Berberova tra i tanti, per qualche tempo anche Nabokov. Con loro la non amata
Alja di queste lettere non spedite, al secolo Alja Kagan, in arte Elsa Triolet.
Che a Parigi c’era già stata prima e durante la guerra, per farsi sposare da un
Mr Triolet, un dandy che la portava
in vacanza a Tahiti ma non era un letterato. Ritornandoci, si farà sposare trentacinquenne
da Aragon, gay e comunista professo – cosa che Alja aborriva: “Come si può essere
comunisti? La rivoluzione è terribile”. Si fa fatica a immaginare uno Sklovskij
surclassato in amore da Aragon, ma Aragon era Parigi, poeta e scrittore in
carriera, che peraltro professerà anche, in poesia, un amour fou per Elsa. Insomma, un gioco del rovescio, un incrocio di
rovesci.
Qui l’iperletterato è
pieno di molte cose eccetto che della non innamorata. Tutte irrelate tra di
loro, e tuttavia convergenti, nell’anima se non nel corpo della narrazione. Come
un discorso libero, un flusso di coscienza, di cose viste. Fermo restando, avrà modo di osservare, che certi romanzi, anche d’avventura, sono una variante del gioco dell’oca.
Si ripubblicano
periodicamente queste lettere da una ventina d’anni. Di un innamorato in teoria
non corrisposto. In realtà di Šklovskij a se stesso, le lettere non sono
inviate, la destinataria è una silhouette
assente. Una sorta di iperrealismo dell’assenza, in tono con gli assemblaggi e collages che il movimento Dada aveva
messo alla moda. Ma forse anche l’unica corrispondenza amorosa postromantica possibile,
di sé a se stesso.
Scrivere a se stesso
Non senza ragione:
Šklovskij si rilegge meglio per queste prose narrative. Indirette e anzi
autobiografiche, una sorta di autofinzione in anteprima. Šklovskij va famoso
per aver sancito che “l’arte è sempre libera dalla vita”.
O anche: “Parlo a nome mio”, per aver detto, “ma
non di me. Inoltre, quel Viktor Šklovskij di cui scrivo probabilmente non sono io e forse, se ci
incontrassimo e prendessimo a parlare, sorgerebbero tra noi dei malintesi”.
Invece si diverte in nome proprio. A costruire un romanzo
d’amore, quindi di relazione, attorno a un vuoto, il vuoto d’amore. Le lettere
sono o d’amore o di separazione, spiega alla prima pagina, e avendo io deciso
per la forma epistolare scelgo il (non) amore. Uno sberleffo, in realtà, alla
destinataria.
La destinataria non c’entra.
La sua è anche tutta un’altra storia. Eloisa è ironico, sta per vergine
inaffidabile, “una che si è fatta straniera”, ne dirà Šklovskij verso la fine. Alja
è sorella maggiore di un’altra Kagan celebre, Lilya, “Lili”, sposata Brik, musa
di Majakovkij. Due donne belle e distanti. Due allumeuses. Šklovskij lo fa intendere in trasparenza. Elsa più bella e più brava
di Lili, a scuola d’architettura e in casa, aveva sedotto tutto il seducibile, Majakovskij
per prima, Šklovskij, Jakobson (dev’essere
stata dura), Ehrenburg e Duchamp, prima di Aragon. Una bella a trazione Fiat:
“Il fascino principale di una buona macchina”, Šklovskij
scrive in una delle lettere, “è il carattere della sua trazione, il carattere
del crescere della sua forza. Una sensazione simile al crescere della voce.
Molto piacevolmente cresce la voce-trazione della Fiat: premi il pedale del
gas, e la macchina ti porta con entusiasmo” - le auto italiane erano reputate a
Parigi dopo la Grande Guerra, scriveva il corrispondente Corrado Alvaro, “le
migliori del mondo”.
Nobile famiglia di mercanti e musicisti, i
Kagan. Una casa piccola per le due sorelle adulte, ma con due pianoforti, e una
mamma dall’orecchio assoluto. Due delle tante, le sorelle, muse parasovietiche alle
costole degli intellettuali che facevano tendenza a Berlino, Parigi e Londra,
tra le due guerre e nella guerra fredda. Da Parigi Alja disdegna Šklovskij pur
non avendo altro da fare che infilare collanine, in
un alberghetto rue Campagne Première, e a Natale disegnare cartoline. Scrive romanzi
elevati, che non si traducono in francese, incoraggia i poeti francesi, traduce
in russo Céline, “Il viaggio”, che ancora non era stato in Russia e non aveva
scritto il “Mea culpa”. Gor’kij la incoraggiata, che amava le belle donne. Elsa
e Aragon saranno a Mosca nei momenti più drammatici, il 1936, il 1948, con l’eugenetica di Lysenko, il 1953, dei pogrom contro i medici e gli
intellettuali ebrei. Sarà Lilja che dalla
magione moscovita aprirà a Elsa a Parigi il fascino del televisore e del
magnetofono, e di Salinger del “Giovane Holden”.
Tra
i bolscevichi, Šklovskij ricorda, i
quali vinsero per essere più crudeli, gli intellettuali mostravano forte tempra:
spaccavano il ghiaccio, scrivevano orazioni, si accusavano. A Šklovskij fucilarono due fratelli, che amavano entrambi la rivoluzione. I
primi bolscevichi, belli, giovani, colti, si presentarono a Šklovskij in aspetto di sbirri: volevano denunciare qualcuno. Sklovskij che
era stato di tutte le guerre nell’inferno russo, e quindi di tutte le infamie, in
Ucraina sperimentando una dozzina di cambiamenti di fronte in poco più d’un
anno, ancora non aveva visto nulla di simile.
Giulietta Greppi ne ha
fatto una traduzione dinamica, che Šklovskij avrebbe apprezzato. Aggiungendo brevi
note sui personaggi che vi s’incontrano e i luoghi, dettagli ormai necessari. .
Viktor Šklovskij, Der Zoo, o lettere non d’amore. O la terza
Eloisa, Meridiano Zero, pp. 158 € 10
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