Gramsci
– Un gesuita? Non nel senso di ipocrita, ma di
combattente. Così lo disse Francesco Perri, lo scrittore da lui ingiustamente
stroncato in un’annotazione che dopo la guerra fece parte della raccolta “Letteratura
e vita nazionale”: “Quel giovane aveva certo delle grandi qualità, che nessuno
può disconoscere, ma era di una presunzione incommensurabile e aveva una
mentalità di tipo teologico che atterrisce. Una specie di gesuita”.
Per la critica, ingiusta (v. sotto), di Gramsci,
Perri è stato escluso nel secondo Novecento e dopo da ogni considerazione, e
perfino dall’industria editoriale. Quanto altro Gramsci pesa sulla letteratura
italiana?
Italia
– “Un paio d’anni fa ero qui per un casting”, qui a
Roma, Stefani Ulivi rapida e brillante fa dire a Peter Greenway in un’intervista
su “la Repubblica-Roma” mercoledì 12, “ho chiesto a un attore: «Voglio che
cammini come Mastroianni». «Chi è Mastroianni?», mi fa. «L’attore preferito da
Fellini». «Chi è Fellini?»”. Forse Greenway esagera, ma la memoria è sempre più
corta, in tutte le università tutti i docenti se ne lamentano, da una
generazione almeno.
Mercato – “Credo che la reazione alla crisi sia
stata isterica da parte del mercato. Così si è inseguito il lettore debole,
sottovalutando la cultura. Ciò ha danneggiato i lettori più della crisi
economica”. Luigi Spagnol, ad di Gems, alla presentazione del portale illibrario.it
alla milanese Book City. Il mercato escluso Gems?
Perri – Francesco
Perri, uomo e letterato d’un pezzo di sinistra, ma non comunista, fu
svillaneggiato da Gramsci per il suo romanzo “Emigranti”, 1928, uno dei
migliori del primo Novecento alla rilettura, d’impianto complesso, ma non
politico - o meglio politico nel senso conoscitivo e comprensivo, e non tattico.
In un appunto del carcere, che poi ha tenuto banco nella critica accreditata
per tutto il secondo Novecento e oltre, alla p. 573 di “Letteratura e vita
nazionale”: “Negli «Emigranti» tutte queste
distinzioni storiche, che sono essenziali per comprendere e rappresentare la
vita del contadino, sono annullate e l’insieme confuso si riflette in modo
rozzo, brutale, senza elaborazione artistica. È evidente che il Perri conosce l’ambiente popolare calabrese non immediatamente, per
esperienza propria sentimentale e psicologica, ma per il tramite di vecchi
schemi regionalistici (se egli è l’Albatrelli occorre tener conto delle sue origini politiche, mascherate
da pseudonimi per non perdere, nel 1924, l’impiego al Comune o alla
Provincia di Milano). L’occupazione (il tentativo di) a Pandure nasce da «intellettuali», su una base
giuridica (nientemeno che le leggi eversive di G.Murat) e termina nel nulla, come se il fatto (che pure è
verbalmente presentato come un’emigrazione di popolo
in massa) non avesse sfiorato neppure le abitudini di un villaggio patriarcale.
Puro meccanismo di frasi. Cosí l’emigrazione. Questo villaggio di Pandure, con la famiglia di Rocco Blèfari, è (per dirla
con la parola di un altro calabrese dal carattere
temprato come l’acciaio, Leonida Rèpaci) un parafulmine di tutti i guai. Insistenza sugli errori di
parola dei contadini, che è tipica del
brescianesimo, se non dell’imbecillità letteraria
in generale. Le «macchiette» (il Galeoto ecc.), compassionevoli, senza arguzia
e umorismo. L’assenza di storicità è «voluta» per poter mettere
in un sacco alla rinfusa tutti i motivi folcloristici generici, che in realtà
sono molto ben distinti nel tempo e nello spazio”.
Il romanzo di Perri è fatto di arguzia e umorismo
– una forma di pietas non beghina. Pandure è Pandore, cioè Careri, un borgo che
Perri conosceva bene, per esserci nato e cresciuto, e fa vivere senza
rimozioni, non quelle sterili di Gramsci, per esempio, inurbato, lui sì, molto “intellettuale” – il fatto
è constatabile ancora oggi, che Careri si raggiunge in pochi minuti di macchina
dal mare. Albatrelli è in realtà Albarelli, pseudonimo che Perri aveva adottato
nel 1924 per “I conquistatori”, romanzo scopertamente antifascista, scritto e
pubblicato a Milano nel 1924, “era” già
fascista. Per il quale Perri aveva già perduto il posto – alle Poste. Una cosa
che in altro conetsto avrebbe portato non alla decurtisiana deformazione ma a
medaglie e abbecedari celebrativi. Allo stesso che modo che Careri, Perri
conosce e sa far parlare i contadini, come nel Novecento nessun altro ha fatto.
Persona peraltro amabile, e sempre attivo nella vita nazionale, sempre dalla
parte giusta, fino alla morte nel 1974, non un imbecille.
Roma
– Peter Greenway, che
dedicò alla città nel 1987 “Il ventre dell’architetto”, film sull’architettura boulleana e sul
senso
di vita che le pietre della città comunicano a un architetto malato
terminale, si dice tuttora che non aveva
torto: “Roma, un posto straordinario, la più antica città che continua a
vivere. Atene è più antica, certo, ma a un certo punto si è spenta. A Roma si
sente un’evoluzione continua, è un posto così potente”. Lo dice a “la
Repubblica-Roma”, nella stessa intervista a Stefani Ulivi con cui si sorprende del
recesso italiano. A una delle redazioni specializzate cioè nel dire Roma morta.
Bisogna aprire le finestre nelle redazioni romane?.
Sue – Marx lo snobbò, con ferocia. Definendolo “piccolo borghese sentimentale, socialista della fantasia”, candidato socialista “per far
piacere alle grisettes”. Un’anticipazione
forse dell’odio dei comunisti verso i socialisti – tuttora forte e anzi
dominante in Italia, che i socialisti non esistono più, e nemmeno i comunisti. Ma su Sue bisogna intendersi,
Marx è ingeneroso, come a volte lo è il destino. Uno che aveva avuto padrini di
battesimo Giuseppina di Beauharnais e l’Aiglon, il principe Eugenio. Che
passava le serate al Jockey Club. E nel 1850 si fece candidare
per battere la legge Falloux che aboliva la scuola pubblica, e in qualche modo
ci riuscì, Parigi lo elesse. L’anno dopo Luigi Napoleone Bonaparte lo
esiliò, e in nessun luogo poté andare per l’opposizione dei preti, solo in Savoia, sotto la
protezione del governo liberale di Massimo D’Azeglio, dove presto morì.
letterautore@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento