giovedì 13 novembre 2014

Letture - 192

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Gramsci – Un gesuita? Non nel senso di ipocrita, ma di combattente. Così lo disse Francesco Perri, lo scrittore da lui ingiustamente stroncato in un’annotazione che dopo la guerra fece parte della raccolta “Letteratura e vita nazionale”: “Quel giovane aveva certo delle grandi qualità, che nessuno può disconoscere, ma era di una presunzione incommensurabile e aveva una mentalità di tipo teologico che atterrisce. Una specie di gesuita”.
Per la critica, ingiusta (v. sotto), di Gramsci, Perri è stato escluso nel secondo Novecento e dopo da ogni considerazione, e perfino dall’industria editoriale. Quanto altro Gramsci pesa sulla letteratura italiana?

Italia – “Un paio d’anni fa ero qui per un casting”, qui a Roma, Stefani Ulivi rapida e brillante fa dire a Peter Greenway in un’intervista su “la Repubblica-Roma” mercoledì 12, “ho chiesto a un attore: «Voglio che cammini come Mastroianni». «Chi è Mastroianni?», mi fa. «L’attore preferito da Fellini». «Chi è Fellini?»”. Forse Greenway esagera, ma la memoria è sempre più corta, in tutte le università tutti i docenti se ne lamentano, da una generazione almeno.

Mercato – “Credo che la reazione alla crisi sia stata isterica da parte del mercato. Così si è inseguito il lettore debole, sottovalutando la cultura. Ciò ha danneggiato i lettori più della crisi economica”. Luigi Spagnol, ad di Gems, alla presentazione del portale illibrario.it alla milanese Book City. Il mercato escluso Gems?

Perri – Francesco Perri, uomo e letterato d’un pezzo di sinistra, ma non comunista, fu svillaneggiato da Gramsci per il suo romanzo “Emigranti”, 1928, uno dei migliori del primo Novecento alla rilettura, d’impianto complesso, ma non politico - o meglio politico nel senso conoscitivo e comprensivo, e non tattico. In un appunto del carcere, che poi ha tenuto banco nella critica accreditata per tutto il secondo Novecento e oltre, alla p. 573 di “Letteratura e vita nazionale”: Negli «Emigranti» tutte queste distinzioni storiche, che sono essenziali per comprendere e rappresentare la vita del contadino, sono annullate e linsieme confuso si riflette in modo rozzo, brutale, senza elaborazione artistica. È evidente che il Perri conosce l’ambiente popolare calabrese non immediatamente, per esperienza propria sentimentale e psicologica, ma per il tramite di vecchi schemi regionalistici (se egli è lAlbatrelli occorre tener conto delle sue origini politiche, mascherate da pseudonimi per non perdere, nel 1924, l’impiego al Comune o alla Provincia di Milano). Loccupazione (il tentativo di) a Pandure nasce da «intellettuali», su una base giuridica (nientemeno che le leggi eversive di G.Murat) e termina nel nulla, come se il fatto (che pure è verbalmente presentato come un’emigrazione di popolo in massa) non avesse sfiorato neppure le abitudini di un villaggio patriarcale. Puro meccanismo di frasi. Cosí l’emigrazione. Questo villaggio di Pandure, con la famiglia di Rocco Blèfari, è (per dirla con la parola di un altro calabrese dal carattere temprato come l’acciaio, Leonida Rèpaci) un parafulmine di tutti i guai. Insistenza sugli errori di parola dei contadini, che è tipica del brescianesimo, se non dell’imbecillità letteraria in generale. Le «macchiette» (il Galeoto ecc.), compassionevoli, senza arguzia e umorismo. L’assenza di storicità è «voluta» per poter mettere in un sacco alla rinfusa tutti i motivi folcloristici generici, che in realtà sono molto ben distinti nel tempo e nello spazio”.
Il romanzo di Perri è fatto di arguzia e umorismo – una forma di pietas non beghina. Pandure è Pandore, cioè Careri, un borgo che Perri conosceva bene, per esserci nato e cresciuto, e fa vivere senza rimozioni, non quelle sterili di Gramsci, per esempio, inurbato, lui sì, molto “intellettuale” – il fatto è constatabile ancora oggi, che Careri si raggiunge in pochi minuti di macchina dal mare. Albatrelli è in realtà Albarelli, pseudonimo che Perri aveva adottato nel 1924 per “I conquistatori”, romanzo scopertamente antifascista, scritto e pubblicato a Milano nel 1924,  “era” già fascista. Per il quale Perri aveva già perduto il posto – alle Poste. Una cosa che in altro conetsto avrebbe portato non alla decurtisiana deformazione ma a medaglie e abbecedari celebrativi. Allo stesso che modo che Careri, Perri conosce e sa far parlare i contadini, come nel Novecento nessun altro ha fatto. Persona peraltro amabile, e sempre attivo nella vita nazionale, sempre dalla parte giusta, fino alla morte nel 1974, non un imbecille.

Roma – Peter Greenway, che dedicò alla città nel 1987 “Il ventre dell’architetto”, film sull’architettura boulleana e sul senso di vita che le pietre della città comunicano a un architetto malato terminale, si dice tuttora che non aveva torto: “Roma, un posto straordinario, la più antica città che continua a vivere. Atene è più antica, certo, ma a un certo punto si è spenta. A Roma si sente un’evoluzione continua, è un posto così potente”. Lo dice a “la Repubblica-Roma”, nella stessa intervista a Stefani Ulivi con cui si sorprende del recesso italiano. A una delle redazioni specializzate cioè nel dire Roma morta. Bisogna aprire le finestre nelle redazioni romane?. 

Sue – Marx lo snobbò, con ferocia. Definendolo “piccolo borghese sentimentale, socialista della fantasia”, candidato socialista “per far piacere alle grisettes. Un’anticipazione forse dell’odio dei comunisti verso i socialisti – tuttora forte e anzi dominante in Italia, che i socialisti non esistono più, e nemmeno i comunisti. Ma su Sue bisogna intendersi, Marx è ingeneroso, come a volte lo è il destino. Uno che aveva avuto padrini di battesimo Giuseppina di Beauharnais e l’Aiglon, il principe Eugenio. Che passava le serate al Jockey Club. E nel 1850 si fece candidare per battere la legge Falloux che aboliva la scuola pubblica, e in qualche modo ci riuscì, Parigi lo elesse. L’anno dopo Luigi Napoleone Bonaparte lo esiliò, e in nessun luogo poté andare per l’opposizione dei preti, solo in Savoia, sotto la protezione del governo liberale di Massimo D’Azeglio, dove presto morì.

letterautore@antiit.eu

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