Carrère ne ha fatto un
reportage eroicomico con “Limonov”, Benoist ne fa la (quasi) filosofia con Alexandr
Dugin, ma sempre sui toni irreali, da teatro satirico. Sembra che non ci sia
altra Russia che sopra le righe, se non folle..
L’Eurasia è un’idea che è, o avrebbe dovuto essere, il pilastro
della terza presidenza Putin. Il quale, subito dopo l’elezione, aveva anche
indicato nel 2015 il decollo pratico dell’idea, con un’unione doganale con i
paesi del Centro-Asia. In armonia con la Cina da un lato, e l’Unione Europea
dall’altro. La Ue la rifiuta, e anzi ha in atto un bizzarro containment della Russia da guerra
fredda. Di cui forse non misura l’assurdità: tenere Mosca impegnata in Europa. E
questo è quanto – lo stato dei fatti.
Il fondo culturale dell’Eurasia è la comunanza di destino delle
popolazioni europee con la “grande madre” Asia. Per una sensibilità umana e
sociale che si vuole non mercantilistica. E quindi non “americana”. Il progetto
politico è sempre stato russo, poiché vede la Russia come perno della sua
proiezione. Ma la teorizzazione geopolitica dell’Eurasia è anglosassone. L’Eurasia
è lo heartland di Halford Mackinder, studioso britannico
(1861-1947), diplomatico,
geografo, esploratore, alpinista e Nicholas John Spykman (1893-1943). Americano, sociologo
studioso di Simmel, e geopolitico, Spykman viene citato nelle storie della
guerra fredda come il teorico che consentì la politica di containment. Aggiornò la teoria
di Mackinder, dell’Eurasia come heartland o “isola mondo”, ponendo in rilievo
invece l’accesso allo heartland,
e cioè il rimland, o bordo
esterno di confine, la fascia marittima che delimita l’“isola mondo”. Come zona
di scontro e insieme di mediazione. Forte della sua superiorità
tecnico-culturale, per una maggiore agilità e apertura mentale, e per maggiori
contatti con l’esterno, rispetto allo heartland continentale.
Al termine della guerra fredda Spykman è stato riciclato a tutore
di una diversa strategia mondiale. Che avrebbe dovuto vedere ora gli Usa
impegnati nel rimland per contenere le spinte egemoniche
continentali, della Germania, della Russia, della Cina. Quindi nel
Mediterraneo, nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano. Che è quanto sta
avvenendo.
Eurasia è la condizione geografica dell’Europa, appendice del continente
asiatico. Cui si apparenta, in ambito slavo, una concezione politica,
contrapposta all’Occidente. L’Occidente volendosi anch’esso un concerto
fondamentalmente geografico: la metà del mondo a Ovest del Meridiano Zero o
Meridiano Primo, Greenwich, e a Est dell’Antimeridiano: un’area da cui quasi
tutta l’Europa è esclusa. Culturalmente l’Europa,
rifacendosi alla classicità greco-romana, si escludeva dal Medio Oriente e
tanto più dall’Oriente, e anzi si caratterizzava in opposizione a essi. Pur
provenendone con ogni evidenza (linguistica, mitologica, religiosa).
La nozione è resuscitata dalla Russia postsovetica, e in
particolare nei quindici anni ormai di governo di Putin. Che effettivamente fa
dell’Unione Economica Euroasiatica il perno della sua politica. Con cautela, appunto
perché il concetto di Eurasia è in Russia al centro dell’ideologia fascista
rinascente sulle spoglie del sovietismo. Attorno ad Aleksandr Dugin.
Dugin, ben conosciuto in Italia attraverso la rivista “Eurasia”,
di cui è uno dei pilastri, e le Edizioni del Veltro, che editano la rivista e
ne pubblicano le opere ((la più nota è “Fondamenti di geopolitica”), lega la
nozione a un movimento di russi emigrati dopo il 1917, e alla minaccia che la
globalizzazione rappresenterebbe per tutte le diversità, nazionali, storiche,
culturali. Tradizionalista, cultore e seguace di Guénon e Jung, antiliberista e
per questo antiamericano, fu uno dei capi del Fronte di Salvezza Nazionale
venticinque anni fa contro l’ultraliberismo di Boris Yeltsin. Collaborò alla
redazione del programma del nuovo partito Comunista di Ghennadi Zjuganov.
Presto si staccò dal Fronte, per fondare nel 1994 un partito Nazional-Bolscevico,
con Eduard Limonov. Al quale qualche anno dopo lo lascerà. Sulla base di un
manifesto, “La rivoluzione conservatrice”, pubblicato nel 1994, che fa proprie
le posizioni della “rivoluzione conservatrice” tedesca (antihitleriana)
degli anni tra le due guerre.
Di dieci anni più giovane di Putin, Dugin ha la stessa formazione,
all’ombra dei servizi segreti che portarono alla perestrojika, e poi tentarono di governarla. Nei primi anni Duemila
ha fondato vari partiti e movimenti euroasiatici. Da qualche anno ha posto il
centro della sua attività a Astana, la capitale del Kazakistan, che il
dittatore Nazarbayev ha dichiarato capitale dell’Eurasia.
Un
fatto importante, insomma, il nazionalismo panrusso. Ma preso sempre, anche in
questo colloquio, dal lato sbagliato, esoterico: minoritario quindi, velleitario
sempre, scandalistico, spionistico. È la Russia, e quindi bisogna che le cose siano bislacche, quando
non sono feroci. Se il pericolo è Dugin, non si vede perché.
Alain de Benoist, Eurasia, Vladimir Putin e la grande
politica, Controcorrente, pp. 142 € 10
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