Trascurato
nelle celebrazioni bimillenarie di Augusto, ne è forse il ritratto più acuto, e
anche accettabile, oltre che leggibile – benché datato 1872. La formula
epistolare che Williams ha adottato per l’ennesimo racconto del fondatore
dell’impero, di personaggi che si scrivono o prendono appunti a futura memoria,
ricrea la storia nota in figure, situazioni e prospettive insolite. Ma con un
messaggio imprevisto, che il sottile professor Wiliams, americano e quindi
sicuro repubblicano, veicola ogni poche pagine: repubblica e impero sono
concezioni di segno bugiardo, se la democrazia è aristocratica e corrotta,
quando non assassina, e il dominio è popolare, e coltiva la pace e la cultura.
L’ambiguo
Ottaviano che la nostra filologia predilige non lo è per lo scrittore
americano. Cioè lo è, è sempre ambiguo, e più da ragazzo, quando succede a
Cesare a diciott’anni, e si mette alla guida di un partito del popolo, ma a fin di bene. Conoscitore impareggiabile dell’animo
umano. Illuminato. Un intellettuale al potere per una volta sapiente e buono, una sorta di incarnazione
dell’ideale platonico – che in ogni altra materializzazione, fino a Lenin,
Castro e forse Mao, ha costruito macerie. Specie a confronto con l’intellettuale per eccellenza, Cicerone,
naturalmente intrigante e profittatore. Mentre Marc’Antonio è il potere assoluto-dissoluto:
“Ha più paura lui di noi che noi di lui, e non lo sa”, può dire di lui al primo
incontro Ottaviano. Anche lui avrebbe voluto scrivere,
come il prozio Giulio Cesare, e anche lui non si è “sottratto” al “dovere” del
potere. Fino alla proscrizione da imporre obbligato all’amatissima figlia
Giulia.
Di lettura
a ogni pagina coinvolgente. È difficile farsi leggere per quattrocento pagine
sgomitolando politica, ma forse per questa ambiguità-non-ambigua del suo
Ottaviano Williams ci riesce. Del resto, il potere purtroppo è fatto così, si
fa odioso anche in microscala, diciamo nel condominio. In una delle sue poche
interviste, nel 1985 a Bryan Woolley, a Denver dove aveva insegnato (“Denver Quarterly” 20.3,
1985–86), Williams
sornione lo dice pure: “Eccetto che in scala, le macchinazioni per il potere
sono le stesse in un’università che a Roma e a Washington”.
John E. Williams, Augustus, il romanzo dell’imperatore, Castelvecchi, pp. 384 i. €
17,50
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