lunedì 24 novembre 2014

L’intellettuale al potere

Trascurato nelle celebrazioni bimillenarie di Augusto, ne è forse il ritratto più acuto, e anche accettabile, oltre che leggibile – benché datato 1872. La formula epistolare che Williams ha adottato per l’ennesimo racconto del fondatore dell’impero, di personaggi che si scrivono o prendono appunti a futura memoria, ricrea la storia nota in figure, situazioni e prospettive insolite. Ma con un messaggio imprevisto, che il sottile professor Wiliams, americano e quindi sicuro repubblicano, veicola ogni poche pagine: repubblica e impero sono concezioni di segno bugiardo, se la democrazia è aristocratica e corrotta, quando non assassina, e il dominio è popolare, e coltiva la pace e la cultura.
L’ambiguo Ottaviano che la nostra filologia predilige non lo è per lo scrittore americano. Cioè lo è, è sempre ambiguo, e più da ragazzo, quando succede a Cesare a diciott’anni, e si mette alla guida di un partito del popolo, ma a fin di bene. Conoscitore impareggiabile dell’animo umano. Illuminato. Un intellettuale al potere per una volta  sapiente e buono, una sorta di incarnazione dell’ideale platonico – che in ogni altra materializzazione, fino a Lenin, Castro e forse Mao, ha costruito macerie. Specie a confronto con  l’intellettuale per eccellenza, Cicerone, naturalmente intrigante e profittatore. Mentre Marc’Antonio è il potere assoluto-dissoluto: “Ha più paura lui di noi che noi di lui, e non lo sa”, può dire di lui al primo incontro Ottaviano. Anche lui avrebbe voluto scrivere, come il prozio Giulio Cesare, e anche lui non si è “sottratto” al “dovere” del potere. Fino alla proscrizione da imporre obbligato all’amatissima figlia Giulia.
Di lettura a ogni pagina coinvolgente. È difficile farsi leggere per quattrocento pagine sgomitolando politica, ma forse per questa ambiguità-non-ambigua del suo Ottaviano Williams ci riesce. Del resto, il potere purtroppo è fatto così, si fa odioso anche in microscala, diciamo nel condominio. In una delle sue poche interviste, nel 1985 a Bryan Woolley, a Denver dove aveva insegnato (“Denver Quarterly” 20.3, 1985–86), Williams sornione lo dice pure: “Eccetto che in scala, le macchinazioni per il potere sono le stesse in un’università che a Roma e a Washington”.
John E. Williams, Augustus, il romanzo dell’imperatore, Castelvecchi, pp. 384 i. € 17,50

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