Pochi anni,
nemmeno un decennio di vera attività, ma bastanti per intossicare il socialismo.
Nella cronologia apposta al volume Bravo lo documenta. Involontariamente: il suo
“volumetto”, datato 1979, è la storia di come Marx si impadronì della Prima
Internazionale – con Engels, oggi si aggiungerebbe. Una storia che riletta dopo
il diluvio sembra caricaturale, il racconto trionfale di una sconfitta. Ma non
solo per questo, per il “giudizio della storia”. Marx si impadronì – con Engels
- dell’Internazionale in senso letterale, con manovre, trappole, risentimenti.
Che avrebbero fissato per sempre il socialismo nella faziosità e nella
divisione, distruttivo di una speranza e non costruttivo.
Il
programma fallì, significativamente, in Inghilterra, dove i due risiedevano e operavano,
presso gli stessi lavoratori che avevano dato vita all’Internazionale con l’assemblea
del 28 settembre 1864. C’erano le rappresentanze dei fuoriusciti, Marx vi fu
invitato, per interposta persona, quale rappresentante dei lavoratori tedeschi,
ma la massa erano delle Trade Unions. Che rimasero fuori dell’Internazionale. Marx
voleva solo farsi un partito con i sindacati, a spese degli altri socialisti su
piazza. Con la “liquidazione” degli stessi Proudhon, Blanc, Bakunin, che negli
anni dell’esilio parigino, nel 1843-44 lo avevano aperto al socialismo.
Marx resta,
con Engels, analista acuto della politica internazionale. Marx molto vivace
rispetto a Engels, e godibile scrittore.
Gian Mario
Bravo, Marx e la Prima Internazionale,
Pantarei, pp. 164 € 10
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