La
resurrezione c’è, ma della carne. Lucia è una contadina prosperosa e un po’
scorretta: va a letto con chi le piace, e le piace. Con un dotato fra
Cristoforo in particolare, e con i nobili quando capitano, don Rodrigo e l’Innominato
compresi - qui nominato, Bernardino Visconti. Con mamma Agnese mezzana. Anche
don Abbondio non se le lascia passare, e la Perpetua ha di che risvegliare le
voglie. Renzo no. Alla fine ci prova, con una che lo fa di mestiere,
soprannominata Schiscianus, schiaccianoci, e si scopre omosessuale.
Un
divertimento. La sceneggiatura di un film che Chiara complottava nel 1971 con
Marco Vicario, il regista di “Homo eroticus”, e poi non si fece. Chiara, che soleva mettere
gli amici al corrente di quanto andava scrivendo, di questo suo Manzoni disse
che voleva “restituirlo” alla sua “vera” natura, di spirito inquieto, milanese,
“dialettale” anzi, prima che si sacrificasse alla carriera, e a un’incerta conversione
- “forzata” la dice Ferruccio Parazzoli che era degli amici e ha curato la pubblicazione
vent’anni fa. Il Manzoni “reale”? Ma allora è il suo “problema”, forzarsi a
qualcosa, il toscano, la fede, a cui niente e nessuno lo obbligava.
Non c’è
niente del Manzoni in realtà, solo lo sberleffo – quello che Chiara rifà, forse
a sua insaputa, da autodidatta, è Guido da Verona, che questa parodia aveva già
scritto quasi alla lettera quarant’anni prima. Ma una Lombardia in carne sì, aretinesca
sotto le mani giunte..
Piero
Chiara, I promessi sposi
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