L’autore di “Bella di giorno”, aviatore
nella grande Guerra, fece giornalismo di viaggio negli anni successivi. Questa
sua prima raccolta non risparmia il pittoresco colonialista, di giovani e puri
francesi e serissimi legionari che assoggettano la Siria appena ottenuta in
mandato dai trattati di pace, alla dissoluzione del’impero ottomano. E dei loro
ascari locali, drusi, beduini, circassi, alauiti, tutti nobili oltre che
feroci. Mentre è imbelle la borghesia degli affari a Beirut. Ma il ritratto è
agghiacciante delle divisioni tribali e religiose: la crudeltà di oggi non è
nient’altro che quella delle vendette e le razzie di cui le tribù di
novant’anni fa non potevano privarsi, per lunga consuetudine.
“Nessun paese è più complesso, più
difficile, più rivoltato per natura della Siria”, conclude Kessel. Che la Francia
volle alle trattative di pace, ma divise male, tra Libano e Siria, e controllò
peggio. Su questo Kessel non si censura. Quando la Francia entrò nel Medio Oriente,
l’emiro hascemita Hussein, gran muftì e sceriffo della Mecca, re dello Heggiaz (i
sauditi lo esproprieranno nel 1924), mandò le sue felicitazioni al presidente
francese Deschanel. Non ricevendo risposta, dopo qualche settimana chiese lumi
a un francese suo conoscente. Che telegrafò la lagnanza a Parigi. In risposta
si ebbe questo messaggio: “Sì, un certo signor Hussein, della Mecca, ha inviato
le sue felicitazioni. Se lo ritenete utile, ringraziatelo”.
L’“ignoranza dell’Oriente” è inalterata.
Ma inquietante: se la Francia conosce ormai la Siria da quasi un secolo, a che
dobbiamo l’insistenza di Sarkozy e Hollande, oltre che degli Usa e di Israele,
di riportare il paese alla guerra per bande? E cioè di consegnarlo oggi, come
in Libia, agli islamici tagliateste. Che per prima cosa farebbero la guerra a
Israele.
Joseph Kessel, En Syrie, folio, pp. 89 € 5
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