Si
scopre, dopo cinque anni, che il governo federale tedesco ha impegnato 250
miliardi per rifinanziare le sue banche. Cioè, si sapeva, ma non si voleva “scoprire”.
In aggiunta ad altrettanti fondi Ue e della Banca centrale europea. La vera
scoperta è che Bruxelles e Francoforte non hanno avuto, e non hanno, nulla da
obiettare. L’altrimenti arcigna direzione antimonopolio della Commissione
europea non ci vede ombre, tanto l’aiuto di Stato è dichiarato e massiccio.
Mentre chiedeva lumi a Roma sei mesi, con urgenza, con tracotanza, su un
presunto piano di salvataggio del Monte dei aschi. Solo per sentito dire, in qualche
ipoetico articolo di giornale – magari imbeccato da Bruxelles, è prassi normale
delle politiche dell’informazione farsi proporre i casi dove si vuole
infierire.
È anche
vero che non è un caso isolato, né eccezionale. È prassi che la Germania fa
quello che vuole, e gli altri
si
arrangiano. Mario Monti, che come al solito ci credeva, quando Berlusconi lo
nominò a capo dell’antimonopolio a Bruxelles, faticò a capire che con la
Germania non c’era nulla da fare: sul finanziamento pubblico delle banche come dell’industria,
della Volkswagen, dell’acciaio, dell’avionica, la Germania è insindacabile.
Monti
ripiegò, come i successori, sui monopoli americani. Windows a lungo, ora
Google, domani Facebook, obiettivi facili – il terreno di manovra non manca,
anche perché gli americani sono troppo inventivi. Una burocrazia asfittica
governa l’Europa, che i principi e le grandi scelte subordina agli avanzamenti
di carriera.
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