“Gogol è il più strano poeta in prosa che
la Russia abbia mai prodotto”: l’esordio sembra strano. Ma Nabokov apprezza la
stranezza, e la sa mettere in valore. Specie “Anime morte”, quella delle tre
opere di Gogol che Nabokov analizza più in esteso, quasi riga per riga – le
altre sono “Il revisore” e “Il cappotto” – dopo un capitolo generale d’introduzione.
Per la felicità del lettore. Ma anche Gogol dovrebbe essere contento di questa
resurrezione.
Nulla di miracoloso. Nabokov vuole
liberare Gogol dall’etichetta di “Dickens russo” e di “scrittore sociale”,
sotto cui il secondo Ottocento e poi il bolscevismo l’avevano seppellito.
Voleva nel 1948, quando tenne le lezioni che sono all’origine del volume alla
Cornell University, a un gruppo di studenti che non sapeva il russo e sapeva
poco della Russia. “Anime morte”, “Il revisore” non sono la Russia, Gogol
“conosceva la Russia male”, dal finestrino della carrozza venendo dall’Ucraina
dove era cresciuto, nelle brevi pause dei lunghissimi soggiorni a Roma, dove
s’inventava di dare un seguito a “Anime morte”, e le stazioni termali del
Centro-Europa, una peregrinazione che Nabovkov documenta in dettaglio, una
serie di località lunga cinque-sei righe. Non conosceva il “popolo”, che anzi
gli dava fastidio, e non aveva “messaggi”.
Allora non era facile disincrostare
Gogol dal realismo sovietico. Neanche ora per la verità, ma nessuno ora contesta
Nabokov, che anzi si apprezza come il miglior compagno alla lettura. Con
periodi lunghi e elaborati, per la precisione, ma anche pieni di sottigliezze,
e di digressioni lampo euforizzanti. Le stesse che rendono la sua prosa
elaborata (sveltita in questa edizione, rispetto all’originale inglese, dalle
traduttrici Cinzia De Lotto e Susanna Zinato), talvolta a cerchi concentrici, l’una dentro l’altra. Nella pagina in cui tenta di spiegare il pošlost’
nelle sue intraducibili sfumature si accorge tra parentesi che il suo mentore
Roget’s Thesaurus cataloga i topi tra gli insetti.
Cicikov, il mercante delle anime morte, è un plasma informe, su cui
Gogol concretizza il suo distacco semmai dalla realtà. Che usa solo per i suoi
effetti stranianti: comici perlopiù, o sordidi. Dopo Sterne, naturalmente, ma prima di Kafka. Nabokov dà molto credito a
Belyi, che la cassetta di Cicikov diceva la sua “moglie”, l’essere e il tipo di
affetto cui Gogol fu totalmente estraneo. E la suffraga a modo suo: l’unica
proprietaria donna del piccolo mondo di provincia di Cicikov, la “signora”
Korobochka, significa “scatolina”, quindi la “scatolina” di Cicikov, “alla
maniera come Arpagone esclama «la mia cassetta!» nell’«Avaro» di Molière”…
Il tutto sullo sfondo della deriva
religiosa che Gogol esibiva, in qualche testo critico e soprattutto nella
corrispondenza, di cui raccolse e pubblicò un volume a fini edificanti. Assumendo
un’aria da profeta e inviato di Dio – fece pure il pellegrinaggio a Gerusalemme…
Ossessionato dal pensiero che i grandi pittori italiani lo avevano fatto più e
più volte, di coniugare il sacro e il profano. Nel mentre che assicurava che la
seconda e la terza parte di “Anime morte” erano in arrivo. Al solo fine quindi
di celare il blocco creativo di cui soffrì?
E
Cervantes?
Non c’è il riferimento al “Chisciotte”,
a proposito di Cicikov, che ci si aspetterebbe. Anche perché, leggendolo nella
traduzione inglese di Nabokov, la prosa gogoliana sembra un calco di Cervantes,
nella modulazione, nel girare attorno, nei personaggi visti e persi, nello
humour. Ma Nabokov, che in America insegnò ai corsi per traduttori, oltre che
letteratura russa, anche i Maestri della Narrativa Europea, si fermò
all’Ottocento. Quanto al suo autore preferito, l’apprezzamento è reiterato
all’inizio del capitolo dedicato al “Cappotto”: “Gogol era una strana
creatura”. La differenza, dirà, tra il lato comico della cosa e il suo lato
cosmico dipende da una sibilante – “Gogol era nato un primo di aprile”.
Nabokov voleva anche liberare Gogol
dalle cattive traduzioni. Tutte, a suo dire, quelle allora in uso in inglese. E
effettivamente a leggere questo suo “Gogol” in originale inglese, è un altro autore.
Specie quello delle “Anime morte”, la cui traduzione in particolare aveva
attirato le sue ire – anche perché è per le “Anime morte” che Gogol fu appropriato
dal realismo socialista, seppure in forma dickensiana. Ne ritraduce numerose
pagine, facendo rivivere Cicikov e il suo mondo di morti in un caleidoscopio di
sensazioni e sentimenti nuovi.
Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol,
Adelphi, pp. 183 € 18
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