Singolare
saggio storico-politico, redatto e pubblicato nel corso degli eventi, il 1944, “l’anno
più tragico della nostra storia”. Singolare perché lucido allora malgrado l’occupazione,
la divisione dell’Italia, e la guerra civile – che si sarebbe prolungata con l’estromissione
del Pci dal governo. E oggi, alla seconda riedizione in questi anni tragici di “Seconda
Repubblica”, più vero, storicamente, politicamente, che mai.
Oggi vent’anni
di crisi, economica e politica, come allora vent’anni di fascismo, sembrano aver
cancellato “la solidarietà e il patriottismo”. E forse li hanno cancellati per
davvero. Mortificati, in una con la perdita del “senso della responsabilità
individuale” – basta vedere la tv, un qualsiasi talk-show tra politici-banditi,
benché leggiadri.
La crisi è
tutta ascrivibile alle classi dirigenti. Politiche anzitutto, e istituzionali -
l’apparato burocratico, quello giudiziario, quello repressivo. Per
opportunismo, cinismo, incapacità. Di articolare un disegno e realizzarlo.
Partendo dal basso: una classe dirigente “a cui non è mai importato che l’Italia
avesse un popolo più o meno civile, più o meno costituito in nazione”.
La divisione
fra le due Italie, “latente fin dalle origini dell’assetto nazionale”, si è venuta
acuendo con l’unità. “I risultati della politica italiana in settant’anni di
vita nazionale sono, nel 1944, pervenuti a questo: che non solamente l’Italia è
cancellata dal novero delle grandi e libere nazioni, presumibilmente per molti
anni, ma sta rischiando la sua stessa unità nazionale”. Alvaro ha anche una
chiave tuttora accettabile per il ritardo del Sud: lo scollamento masse-élites,
popolo-Stato, si traduce in un parassitismo rassegnato, che infetta il Sud e la
stessa Italia. Con una nota di Mario Isnenghi.
Corrado Alvaro, L’Italia rinunzia?, Donzelli, pp. 84 €
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