L’autrice è una che si denudava da
bambina a scuola per indispettire le maestre bacchettone di Khomeini. Perché
lei è nata a Teheran, sotto Khomeini, e questo l’ha segnata. Anzi, è nata prima
dell’avvento di Khomeini, nel 1977: due anni appena, ma bastanti ad acquisirla a
un altro Iran, e questo è il problema.
Non è il solo, altri problemi sono qui
posti, con l’esilio essendo Abnousse finita a otto anni in ristrettezze
materiali, e in una mezza periferia parigina di gente da poco, razzista
comunque, anche quando si vuole antirazzista, e di chiusi orizzonti. Da cui lo
snobismo di un’antica cultura e di una famiglia intellettuale non la protegge. Ma
soprattutto si espone, in filigrana sul fondo limaccioso dell’ira, la rabbia e
la forza dell’esilio. Della mutilazione che per nessuna colpa i “barbuti” e le
“cornacchie” di Khomeini impongono alle iraniane. Impongono grazie a un fondamentalismo
anche femminile – per una volta qui si attesta la verità: a opera di
insegnanti, bidelle, guardiane, e mogli, madri, figlie, con gli uomini assenti.
Una resa dei conti col khomeinismo, principalmente.
E con la famiglia, con gli amici, con se stessa. Anche con la famiglia propria,
disadattata più che avventurosa, e con le zie, con lo zio, col nonno materno manolesta
– respinto da Abnousse dodicenne con una ginocchiata. Con una tradizione
culturale che è una gabbia più che una protezione. È questo, in controluce, il
dramma dell’Iran, più che la colpa dei “barbuti”: la remissività di una cultura
antica e vigorosa, di tremila anni di filosofia, poesia, urbanità, che si cancella.
Sotto “un regime politico”, aggiunge l’autrice, “che non è parte della nostra
cultura”. Questo non è vero. E non è un male. Ma il khomeinismo lo è:
oscurantista e violento.
Cancellare Dio per cancellare i “barbuti”
Non è Montesquieu rovesciato: è il
racconto di una persiana a Parigi, ma non di una saggia. È uno sfogo più che un
racconto, in forma di selfie, come
usa. Debordante. Disinibito ma incontinente e volentieri becero, un pamphlet interminabile alla Fallaci. E
tuttavia non si può non essere con lei: la cancellazione della donna a opera del
falso imam è abominio. I lunghi insistiti capitoli iniziali sono un diario
beffardo dell’ottusità, e dell’amorfo conformismo nel quale una nazione antica
e ottanta milioni di persone sono state precitate e si tengono, ormai da quasi
mezzo secolo – “l’infagottamento di Teheran”, più stridente nella nevrotica
capitale. Di fulminea perspicacia dove la rabbia è sbollita: bastano otto righe
per spiegare le “sciocchezze” scritte da Foucault a favore di Khomeini (mette l’Iran
tra i paesi coloniali…).
Il problema è la libertà, che l’Iran
cercava sotto lo scià inetto. Un bisogno di cui Khomeini si è fatto scudo per
imporre al paese la sua barbarie. Già allora, andrebbe aggiunto, con l’aiuto
decisivo - come per tutte le avventure successive
e fino ad oggi dei “barbuti” nel Medio Oriente e Nord Africa - della Cia e gli altri
servizi segreti occidentali.
E Sade, in questo Iran? Viene in coda,
scoperto in progressione erotica: dopo la “cattiva” madame Merteuil dei “Legami
pericolosi”, dopo Pierre Louÿs, e dopo “Teresa filosofa” e gli altri libertini
del Settecento. Al culmine di un percorso di liberazione mentale più che corporea.
Una scrittura “sinistra, equivoca e maculata”, in cui però la giovanissima
Abnousse si tuffa senza paura per una luce che v’intravvede. Di cui fa subito
tesoro in esergo: francesi ancora uno sforzo, la religione che vi propongono è
empietà, artificio di preti.
Il marchese va in argomento per una
volta dritto al punto, e Abnousse cresciuta, cultrice della materia, non se lo
lascia sfuggire, così riassumendolo: “Tutte le religioni limitano la donna nel
nome di Dio e per rispetto verso di Lui”.
Essendo arrivata con Sade alla scoperta di sé con la scoperta della donna. Del
corpo della donna come bastione della libertà, del proprio corpo. Si vuole atea
per aver rovesciato la sessuofobia della chiesa, ma più per avere scoperta
questa prima irrinunciabile difesa. Con Sade viene ricordata Laura. Ma non
Petrarca: Abnousse è troppo arrabbiata.
I conti vengono qui fatti con tutti, in
realtà, non solo coi “barbuti” di Khomeini: la guerra, le donne, in Persia e in
Francia, le zie, il razzismo, l’antirazzismo, Liane de Pougy, meglio la Belle
Otéro, Zidane e i Bleus (la Nazionale di Francia), Le Pen padre, con rispetto, Le
Pen figlia, Dio naturalmente, gli immigrati retrogradi, sfrontati, violenti, i
piccoli francesi rosiconi - dopo avere accolto e naturalizzato per secoli mezzo
mondo, questo Abnousse se l’è perduto. Dalla parte volentieri del torto forse
per dare più richiamo all’argomento, alla materia dell’argomento. Che è l’occhio:
la malia, la fobia dell’occhio.
L’occhio
malocchio
L’awra,
l’atto di cavare l’occhio”, è tutto ciò che è osceno e va coperto: dalla parte
alta del petto alle ginocchia per l’uomo e tutto il corpo per la donna. Ma è
poi l’occhio-malocchio: “L’occhio diviene il nemico numero uno. Il malocchio è
in tutti gli occhi”. Un libertinismo femminile avocando come arma di
liberazione.
Il lungo sfogo Shalmani tesse come una filosofia del velo - la parola non è
eccessiva: complicata. Tragicomica. Troppi casi ha visto di ritorno al velo,
perfino in Francia, perfino a Parigi, tra i suoi amici e nella stessa
università. Non c’è un cammino della redenzione, si salva chi vuole.
Nell’edizione originale l’autrice
campeggia in copertina per la bellezza – imponente nella capigliatura, che la
“teologia” islamica, anche quella laica di Bani Sadr purtroppo, vuole celata.
Ma ha argomenti, e con questi soprattutto si batte. L’editore Grasset definisce
il libro “gioioso pamphlet”, o giocoso, e tale è al fondo. Ma scaglia frecce
acuminate.
Quella di cui resta di dare conto è
l’Iran, di cui l’autrice non vuole avere memoria – troppe sofferenze. Per chi
di quel paese ha una propria memoria, la personalità di Abnousse se non il suo
libro sono ancora una consolazione, nel deserto indotto dal khomeinismo. Le
sofferenze dell’essere persiana sono sociali, il razzismo a Parigi non escluso,
psicologiche, personali e familiari. Ma “Khomeini, Sade e io” le vuole anche storiche,
la storia facendo svanire sotto il khomeinismo. E come è possibile?
Di questa cancellazione peraltro Abnousse
è vittima e artefice, tre millenni di una delle culture più ricche del pianeta riducendo
al “Ta’zieh” sciita, il poema del sacrificio, e al “Ta’zieh” di Kiarostami a
Parigi. Forse perché lei stessa è Nuovo Cinema Iraniano, alla Kiarostami, nelle
sue due prove di regia, gli episodi di “Paris, la métisse”, 2005, e “La
Dictionnaire”, 2009, in cui privilegia la bambina, che col padre impara il francese
e la vita leggendo “I Miserabili” e i grandi libri delle parole. Ma assurdo: una
come lei non è nata nel nulla, e non per caso.
Abnousse Shalmani, Khomeini, de Sade e io, Rizzoli, pp. 318 € 18
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