giovedì 11 dicembre 2014

Il mondo com'è (198)

astolfo

Colpa – Si può dire il segno della Germania, il senso di colpa, il pentimento oscuro, se il “Tannhäuser”  è la sua opera eponima, Wagner è la nazione. Anche se rifiuta la Colpa storica - la cancella, ma per non doverla rifiutare: non la elabora, la rimuove.
La colpa risale a Lutero e all’antiromanità. Non c’è altra origine. Prima la Germania era libera, sarcastica, tragica, mangiona, mistica. Lutero tolse ai tedeschi la grandezza, sia pure illusoria, della  romanità, ai governanti e ai suoi vagabondi, i clerici vagantes, che erano numerosi. Prima i suoi re crescevano e vivevano nel mito di Roma, e la cultura era libera – la letteratura, la filosofia, la pittura. Tale rimarrà per il suo più proficuo filone, fino a Händel, Goethe e lo stesso antilatino Thomas Mann. Ma sommersi da un marea avversa: pietista, revanscista, sorda. Specie la filosofia, che si coltivava nelle facoltà di filosofia, e fece di tutto per aggirare lo scoglio, fino a inventarsi la Germania greca di Heidegger e l’ariogermanesimo.

È speculare in Germania al problema della disinvoltura – anch’esso creato dal rifiuto di Roma. Jünger segnò come “data memorabile nel progresso della disinvoltura” il giorno in cui mise una virgola invece del punto esclamativo in una lettera. Il tedesco non sa ridere: difetta di disinvoltura. Questo è un tema della letteratura tedesca sui tedeschi, dal tempo di Goethe e forse prima. Anche se non qualche torto, alle donne tedesche se non agli uomini: prima - prima di Goethe - ci sono molte evidenze di naturalezza muliebre, al limite della disinvoltura. Della monaca Rosvita per esempio, la prima commediografa dell’Europa “volgare”. Della monaca Ildegarda, badessa, mistica, musica, poetessa, che la chiesa non santificò perché ne ebbe paura. Dell’arcitruffatrice e vagabonda, nonché futura madre, Coraggio.
Il complesso della disinvoltura s’è diffuso tra i nobili e i colti col viaggio in Italia, a partire dal Settecento. E nella massa con la Colpa: il tedesco si vergogna, sa che deve vergognarsi, ma non si ritiene colpevole.

Marx – Che analisi avrebbe fatto, che “Capitale” avrebbe scritto, con le teorie filosofiche e le “leggi” economiche connesse, fuori di Londra e Manchester? Lui con Engels. Senza le Trade Unions che furono all’origine e costituirono il nerbo della Prima Internazionale. E senza Engels, naturalmente, filologo e imprenditore.

“L’appello ai principi immateriali è il rifugio della filosofia pigra”, questo lo diceva già Kant visionario. Che però ammoniva: “Il materialismo, se ben si considera, uccide tutto”. I comunisti sono con Marx finora le sole vittime del Diamat, il materialismo storico. Al cui gioco vince il capitale, quintessenza della materia. Lo spiegava negli anni 1930 anche Arthur Rosenberg, l’antichista apostata: “La concezione materialistica della storia è l’applicazione della critica dialettica a tutti i fenomeni del vivere umano. Tutti i valori, in ogni campo, sono pesati e riscontrati troppo lievi. Ma il fatto di confutarli nei libri non basta a bandire dal mondo lo Stato e la legge borghese del salario. Gli oggetti dell’analisi non diventano chimere per il fatto di essere criticati: non viene abolita l’aria perché il chimico scopre gli elementi da cui essa è costituita. La polizia dello Stato borghese e la cassaforte del capitalista sono amare realtà”.
Il problema di Marx è, si suole dire, il marxismo-leninismo, di cui non ha colpa, l’ideologia. Ma l’ideologia ha la forza dell’immaginario - Althusser avrà ben vissuto anche se solo per dirlo. Dei facitori di parole, i demagoghi, i buoni scrittori anche, e Marx lo è in grado eccellente. La buona scrittura sarà onesta ma per interna coerenza, sul metro della sfuggente verità un po’ simula sempre. Marx, che fu capopartito, lo sapeva, una parola ben detta vale più d’ogni verità, e lo sapevano le sue vittime, che le storie del socialismo faticano a redimere: c’è una verità della fede indigesta a ogni logica.
A monte tuttavia pesa il materialismo dialettico, che confonde la realtà con la dialettica. Mentre una distinzione c’è. Marx distingueva proprio questo: le contraddizioni capitalistiche sono dialettiche ma non reali, meno che mai inevitabili. Una scemenza, riconosciuta pure da Lucio Colletti: “Una filosofia che pretende uno status superiore a quello della scienza è una filosofia edificante, cioè una forma scarsamente mascherata di religione”. Mentre tutti vedevano al mercato più merci e meno care, più grano, più viaggi, più atomiche, più medicine, più minigonne, e più cura. “Meglio liberi che ricchi”, dice von Hayek, liberale Nobel tardivo, ipocrita forse precoce. Ma c’è di peggio: la libertà produce più ricchezza – e l’ingiustizia è più o meno uguale. La ricchezza certo non è tutto. Ma è niente?

OrienteLo inventò, con l’Occidente, la propaganda di Augusto, che per combattere i belli e vincenti Antonio e Cleopatra, nei quali rinasceva la coppia da Cleopatra formata con Cesare, comandò le batterie pesanti di poeti e retori, d’intrighi e dissolutezze. Una moderna campagna d’intossicazione, o il genere del dossier, già sperimentato con successo da Cicerone contro Catilina, altro esempio di virtù. L’Oriente dunque viene da Occidente.
È concetto relativo. La Cina e gli altri continenti asiatici, e così del resto gli Usa e il Brasile, hanno un Oriente e un Occidente, anzi ne hanno più di uno. Il concetto è europeo, di un continente cioè piccolo. Ma forse del’Europa dovrà imparare.

Spagna – La guerra civile fu perduta dalla Repubblica più che vinta da Franco. A Barcellona e anche a Madrid. È la verità evidente della guerra di Spagna che si tace, anche nella nuova storiografia spagnola. Fu perduta perché la Repubblica combatteva una guerra civile al suo interno, fra le sue diverse componenti, repubblicana, socialista, comunista, trozkista, anarchica. Che :1) ne indebolì lo schieramento e la manovra nella guerra civile nazionale; 2) la espose agli attacchi di Franco, benché erratici e compositi , ingigantendone lo schieramento – lo schieramento franchista non veniva da lontano, benché sostenuto da Hitler e Mussolini, fu improvvisato. La Repubblica non poteva combattere su due fronti. Di cui uno di sostanziali “quinte colonne”, se non disfattiste.
Le divisioni nella Repubblica non furono l’effetto di cecità politica – dello “stalinismo”. Lo stalinismo – Stalin, la Terza Internazionale – praticava all’epoca la politica dei Fronti popolari, delle alleanze tattiche con le democrazie borghesi, della solidarietà antimperialista. Era l’Internazionale di Willi Münzenberg che nelle “politiche della solidarietà” eccelleva. Che però, per un motivo preciso che non sappiamo, Stalin non volle applicata in Spagna, non all’interno dello schieramento classista. Togliatti, che rappresentava Stalin in Spagna e quindi ne sapeva il perché, non l’ha mai spiegato. I suoi storici non si pongono nemmeno il problema di colmare il buco di memoria.

La distruzione della memoria era cominciata al tempo di Münzenberg, a fine anni 1930. Di “Omaggio alla Catalogna” di Orwell, che spiegava le distruzioni di Togliatti in Spagna, Münzenberg bloccò subito la diffusione col discredito: dopo dieci anni non si erano ancora vendute le 1.500 copie della tiratura, benché da quasi un quinquennio Orwell fosse già autore acclamato della “Fattoria degli animali” (ma la stessa “Fattoria” si era dovuta pubblicare alla macchia, T.S. Eliot, il poeta conservatore direttore editoriale della casa editrice, aveva dubbi sulla “posizione politica” di Orwell). Con Koestler Münzenberg ci era riuscito integralmente: di “Buio a mezzogiorno”, sui gulag e i processi staliniani, aveva comprato e distrutto la tiratura.

astolfo@antiit.eu 

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