Andreotti
- Ha avuto i momenti migliori nel confronto con i comunisti.
Da segretario di De Gasperi, e poi da presidente del consiglio, specie nei suoi
primi governi, degli anni 1970.
Sono anche i suoi momenti di gloria, nel perdurare
di una matrice postcomunista dell’opinione pubblica e della storiografia, poiché
fu avversario onorato dai comunisti. Forse più di Moro – santino postumo.
Fu onorato anche dai comunisti eretici del “Manifesto”,
d Parlato se non da Rossanda e Magri. Se ne sdebitò a modo suo, con uno dei
tanti piani di risanamento del quotidiano, quello finanziato da Cesare Geronzi una quindicina di ani fa.
Il processo a Palermo per mafia non gli fu intentato
da Caselli, cioè da Violante, cioè dal Pci. Ma da Lo Forte e Schiacchitano, due
(ex) Dc, che il loro capo ufficio a Palermo Rocco Chinnici, poi fatto saltare
in aria dalla mafia, spregiava come manutengoli del peggior potere
democristiano negli Uffici giudiziari – Lo Forte, ora Procuratore Capo a
Messina, e concorrente solo sfortunato alla Procura di Palermo, sarà criticato anche
nel diario di Caponnetto, il giudice coraggioso che sostituì Chinnici, come
uno degli ostacoli all’azione di Falcone e di Borsellino (Chinnici, nel diario
ritrovato nel suo computer, imputava al magistrato, con pessimi epiteti, la
mancata attuazione di certe indagini: “Sciacchitano e Lo Forte della Procura”,
annotava in data 30 marzo 1979, “emissari del grande vigliacco e servo della
mafia Scozzari”).
De
Gasperi – Rivive sempre in oleografia, buono a tutto e un
po’ melenso, mentre è l’uomo delle scelte radicali, fino a quella sfortunata
del “maggioritario”. Uno che sfidava invece di “confrontarsi”. Inoltre, aveva a
sottosegretario Andreotti. In una sorta di sub-partito vaticano, ma non immune
all’astuzia del giovane tuttofare.
Andrebbe quindi rifatto anche “astuto”, come il suo
aiuto. Ma di un’astuzia allora disincarnata. Fredda, non esibita, al contrario
di Andreotti che se ne è sempre compiaciuto. Di un’astuzia che viene, essa sì,
dal Vaticano, pratica e non abulica.
Fascismo
– È morto, si è sempre detto, era una parentesi
nella storia, non aveva cultura e quindi non aveva radici, e quasi lo si riduce
a un regime terrorista. È la tesi dell’antifascismo. Non è sbagliata ma non è la
verità. Del fascismo – a maggior ragione
del nazismo. Entrambi movimenti di massa, e quindi democratici – il nazismo
perfino legalitario nell’accesso al potere. Le tesi opposte argomentano che il
fascismo è un corpo senza testa. E un errore degli italiani. La follia di un
breve tempo. Era anzi, non è.
È tesi minoritaria, di Noventa e pochi altri, che il
fascismo al contrario si radica nella storia e della cultura dell’Italia – è il
peggio della migliore Italia, argomentava Noventa. L’evidenza è minoritaria tra
gli storici anche perché esclusa dalla teoria e tattica di Togliatti. Ma è
comprovata dall’evoluzione disinvolta delle masse padane e cispadane, a ridosso
dell’Appennino tosco-emiliano: socialiste negli anni 1910, poi fasciste, e dopo
la seconda guerra comuniste. Ancora nel 1996 sessantamila nel Mugello fiorentino
andarono compatti alle urne, sacrificando una domenica, obbedienti all’ordine
del Capo D’Alema, a eleggere senatore Di Pietro, che non nascondeva le simpatie
“sociali” per il Movimento Sociale. Ora scalpitano di diventare grillini. In
alternativa, tentano di farsi Capo Matteo Savini – Matteo Salvini?
Internet – La connettività è l’uguaglianza delle culture, le storie, le idee, le
opinioni. Al livello necessariamente più basso o distratto. Un livellamento che
equivale a una cancellazione radicale – è la famosa tabula rasa. Una piazza, che fa però “piazza pulita” di ogni criterio di
validità o valore, anche di intelligenza, dovendosi posizionare
sull’accettazione di tutto. E inevitabilmente rovescia anzi i giudizi di
valore, dal più e meglio al meno e peggio. In una con l’inculturazione o
intercultura, che per cui il fish ‘n chips è buono come le lasagne. E anzi
meglio, perché no.
Piagnonismo – C’è un’evidente
sproporzione di linguaggi tra la Rai – tg e radiogiornali – e le altre emittenti.
Che saranno, come si favoleggia, e come la Rai sostiene in buona coscienza, impostate
su una visione falsa della realtà, ma ci risparmiano le geremiadi sulla
povertà, il bisogno, la malattia, la sofferenza, per cui alla fine di ogni
trasmissione bisogna dardi una prova di vivenza. Un linguaggio forse impegnato ma non veridico, e anzi artato –
nemmeno impegnato peraltro, le telegiornaliste amano inalberare mises inverosimilmente complicate e
costose. Derivato probabilmente, poiché la Rai ha un pedigree democristiano,
dalle sacrestie. Da un confessionalismo che vuole tutti penitenti per farsi
perdonare i suoi peccati. Ma ora monoliticamente democrat – non da ora, dai
tempi di Veltroni.
In
questa congiunzione, è comunque chiaro che la sinistra è piagnona. Usava riunirsi
al circolo e nelle balere e ballare e bere, le ragazze soprattutto si segnalavano
per essere di mente sgombra, ora non più. Molte elezioni sono state lasciate a
Berlusconi che altro non proponeva che un po’ di fiducia - e perfino il partito
dell’amore, prima di Ruby. La sinistra forse più che la Rai è luttuosa –
triste, pessimista. E si vuole moralista, cioè falsa – la sessuofobia è nella mente
della donna di sinistra. È vendicativa: personifica il nemico, odia le persone.
Non
è ottimista, ecco dov’è l’inganno: non si cura, se non per stereotipi, non apre
porte né orizzonti, non libera.
Plebiscitarismo – Ha
destabilizzato la politica, invece di stabilizzarla. Era inteso a evitare le
crisi di governo ricorrenti, la frantumazione dell’azione di governo e della
legislazione, la loro delegittimazione. Invece ha moltiplicato il potere di
ricatto dei piccoli e piccolissimi, fino a ridurre corpi eletti, il Parlamento, i consigli
regionali e comunali, all’inerzia. Per leggi elettorali sbagliate, ma
soprattutto per l’equivoco del mandato di rappresentanza personale e non
politico (partitico).
Ha
fallito anche per la concomitanza mutazione della politica, dall’organizzazione
alla mediatizzazione. Alcuni soggetti
politici ne hanno tratto profitto (in Italia Berlusconi, Grillo), altri ne sono
rimasti a lungo vittime (i litigiosissimi democrat: l’ironia non “buca” lo
schermo). Ma agli uni e agli altri il voto plebiscitario non ha agevolato la
funzione politica, di governo. Per una debolezza della stessa mediatizzazione.
i governi, anche quando restano in carica per la legislatura, diventano subalterni
ai sondaggi, ai media, allo scandalismo più trito, e quindi portati all’inerzia.
Ma più per la personalizzazione che il regime plebiscitario implica, finché
dura la pregiudiziale che la rappresentanza è personale. In Italia è il caso
del mandato elettivo quinquennale dei sindaci e i presidenti di regione. Che
non hanno migliorato il potere decisionale, per il meglio o per il peggio, e
sono più che mai soggetti ai condizionamenti, fino al ricatto, degli interessi
più particolari e minoritari.
L’esigenza
tuttavia sempre riemerge, perché è ormai la prassi consolidata in tutti i regimi democratici, vecchi e
nuovi, anglosassoni e iberici, della Francia e dell’ex Unione Sovietica. Nella
stessa Italia, tirando le somme, l’opposizione reale alla funzione di governo
forte è solo degli ex Dc, per la non disprezzabile avversione al centralismo,
ma anche per l’inveterato vizio della Dc post-fanfaniana di governare non
governando – Pannella direbbe sgovernando (fascismo sfascismo…) : creare potere
contrattuale attraverso il rinvio, la parcellizzazione, l’emasculazione.
astolfo@antiit.eu
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