Non sfugge Sade al (bi)centenario, il 2
dicembre. Che coincide con la morte, due mesi fa, del suo primo editore per le
librerie, Jean-Jacques Pauvert, un caronte del sulfureo marchese a soli 19
anni, nel 1947, contro censure e tribunali – sulla traccia di Apollinaire, che
l’aveva sdoganato alla letteratura nell’altro dopoguerra. Esca a numerosi studi
e riedizioni, e almeno due mostre, una al Quai d’Orsay, sulla pittura e la
scultura che a lui si sono ispirate, e una a Ginevra, alla Fondazione
Martin-Bodmer, “Sade, o un ateo in amore”. – da intendere nei due sensi
dell’ateo innamorato, e del rifiuto del dio amore.
Il personaggio è sempre lo stesso. Responsabile
di un quindicennio di sicuri abusi sessuali, a partire dalla smobilitazione nel 1763, alla fine
della guerra dei Sette Anni. Segnati da denunce circostanziate, carcerazioni e
condanne, quella del 1778 definitiva, alla Bastiglia. Malgrado il matrimonio,
con nobildonna ricca, e la procreazione di tre figli in costanza di matrimonio.
Di cui l’ultimo, una bambina, volle battezzata Laura, per il costante
petrarchismo, per ragioni dinastiche e non solo, altro dato circostanziato. Fu
del resto adultero costante. Viaggiò in Italia con la cognata Anne-Prospère de
Launay – destinataria di focose lettere d’amore, da poco pubbliche: donna non bella, e forse più vecchia della sorella maggiore moglie di
Sade, ma evidentemente voluttuosa, stanti anche i suoi reiterati progetti
monacali, di diventare “canonichessa” o badessa di questo o quel convento. Nel
viaggio in Italia del 1775-1776, lungo oltre un anno, fu a Napoli con la moglie
del libellista e truffatore Ange Goudar (l’eroe dello scrittore imprenditore Dioguardi), la bella e intelligente Sara, già
amante di Ferdinando IV e di Casanova.
La moglie Renée-Pélagie lo divorzierà
solo nel 1790, alla liberazione, dopodiché convisse con l’attrice
Marie-Constance Quesnet, più spesso nella miseria. Prima di essere riarrestato,
dodici anni dopo, e confinato nel manicomio di Charenton, confortato dalla presenza
di Marie-Constance. È solo un po’ migliorato fisicamente, nelle ipotesi sul
vero Sade. Che si pensa ora alto e magro, il tipo nervoso, non quello adiposo e
stanziale che Man Ray ha creato nel 1936 pietrificandolo in un bastione del
carcere – le due ore d’aria e di moto è il diritto a cui più teneva, fra i
pochi del carcere, protomaganeriale, anticipatore della fitness.
Lo scrittore invece si presenta ora multiforme,
non solo sadico o sadiano: faceto, tragico, e dell’horror. Di più con le
ambivalenze della neo retorica: ateo-mistico, rivoluzionario-feudale,
liberale-fascista, comico-psicopatico Ma più di tutto e sempre ateo professo e metafisico
del male. “Imprendibile”, lo dice qui la biografa Chantal Thomas: “Romanziere,
filosofo, architetto e scenografo, Sade espone e difende un libertinaggio che
non ha nulla di frivolo…. Murato nella visione feudale della sua origine, vi
sviluppa la coscienza di essere imprendibile. È l’uomo della fortezza”. Ma non,
evidentemente, irrecuperabile.
Filosofo lo vuole soprattutto il dossier,
è la sua novità. La “pietrificazione” di Man Ray ha bizzarramente influenzato
anche i pensatori che lo hanno riscoperto dopo Pauvert, da Klossowski e
Blanchot, e Lacan, Foucault, Deleuze. Foucault prima pro poi contro, dopo aver lasciato
singolarmente fuori dalla “Storia della follia” Sade al manicomio di Charenton,
dove volle un teatro, aperto al pubblico, che animò lungamente, dal 1805 al
813, un precursore e un rivoluzionario. Ora non più: filosofo della distruzione –
“rischiando di trionfare dacché l’umanità lavora a autodistruggersi a breve
termine” – lo certifica lo psicoantropologo
Pierre-Henri Castel in “Sade à Rome”. Che “i passaggi erotici e crudeli”, pur
elaborati, insistiti, interminabili, dice “degli antipasti”. Ben prima delle
catastrofi nichilistiche del Novecento. La sua Società degli Amici del Crimine si
voleva non un espediente narrativo ma una setta e una scuola: che il Male,
natura intima del cosmo, si prone di mettere a nudo e imporre. La natura
implicitamente autodistruttiva del mondo confinato a se stesso portando alla
sua lineare conseguenza, nella linea ragionativa dell’illuminismo. Una sorta di
anti Rousseau, di uno che certamente ha letto Rousseau. Sollers l’aveva già detto: Sade non si
può scrivere altrimenti che in francese, perché è l’altro lato dell’illuminismo,
c’è il lato giorno, Voltaire, e c’è il lato notte.
Un altro Sade si costruisce, dell’esondazione della ragione. Resta da
stabilire se è filosofo suo malgrado. Malgrado le digressioni filosofiche,
finora giudicate delle intrusioni nelle figurazioni erotiche, prolisse più che
argomentate e proditoriamente sistematizzanti. E “La filosofia nello
spogliatoio”, sottotitolo “Gli istitutori immorali”, in sette “Dialoghi
destinati all’educazione delle signorine”, che si legge come una parodia.
Essendo egli un depravato e un visionario. O se è un visionario per programma
filosofico. Sade, inutile dirlo, lo pretendeva. In
un appunto che Gilbert Lély ha pubblicato nella raccolta di testi rari, “Portefeuille”,
si mette con Galileo: “Galileo fu perseguitato per aver scoperto i segreti del
cielo; alcuni ignoranti furono i suoi boia. Io lo sono per aver rivelato i
misteri della coscienza degli uomini, e alcuni sciocchi mi tirannizzano”.
Que
faire de Sade?,
“Le Magazine Littéraire”, novembre, pp. 64-97, il. € 6,20
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