martedì 2 dicembre 2014

Sade bicentenario filosofo

Non sfugge Sade al (bi)centenario, il 2 dicembre. Che coincide con la morte, due mesi fa, del suo primo editore per le librerie, Jean-Jacques Pauvert, un caronte del sulfureo marchese a soli 19 anni, nel 1947, contro censure e tribunali – sulla traccia di Apollinaire, che l’aveva sdoganato alla letteratura nell’altro dopoguerra. Esca a numerosi studi e riedizioni, e almeno due mostre, una al Quai d’Orsay, sulla pittura e la scultura che a lui si sono ispirate, e una a Ginevra, alla Fondazione Martin-Bodmer, “Sade, o un ateo in amore”. – da intendere nei due sensi dell’ateo innamorato, e del rifiuto del dio amore.
Il personaggio è sempre lo stesso. Responsabile di un quindicennio di sicuri abusi sessuali, a partire  dalla smobilitazione nel 1763, alla fine della guerra dei Sette Anni. Segnati da denunce circostanziate, carcerazioni e condanne, quella del 1778 definitiva, alla Bastiglia. Malgrado il matrimonio, con nobildonna ricca, e la procreazione di tre figli in costanza di matrimonio. Di cui l’ultimo, una bambina, volle battezzata Laura, per il costante petrarchismo, per ragioni dinastiche e non solo, altro dato circostanziato. Fu del resto adultero costante. Viaggiò in Italia con la cognata Anne-Prospère de Launay – destinataria di focose lettere d’amore, da poco pubbliche: donna non bella, e forse più vecchia della sorella maggiore moglie di Sade, ma evidentemente voluttuosa, stanti anche i suoi reiterati progetti monacali, di diventare “canonichessa” o badessa di questo o quel convento. Nel viaggio in Italia del 1775-1776, lungo oltre un anno, fu a Napoli con la moglie del libellista e truffatore Ange Goudar (l’eroe dello scrittore imprenditore Dioguardi), la bella e intelligente Sara, già amante di Ferdinando IV e di Casanova.
La moglie Renée-Pélagie lo divorzierà solo nel 1790, alla liberazione, dopodiché convisse con l’attrice Marie-Constance Quesnet, più spesso nella miseria. Prima di essere riarrestato, dodici anni dopo, e confinato nel manicomio di Charenton, confortato dalla presenza di Marie-Constance. È solo un po’ migliorato fisicamente, nelle ipotesi sul vero Sade. Che si pensa ora alto e magro, il tipo nervoso, non quello adiposo e stanziale che Man Ray ha creato nel 1936 pietrificandolo in un bastione del carcere – le due ore d’aria e di moto è il diritto a cui più teneva, fra i pochi del carcere, protomaganeriale, anticipatore della fitness.   
Lo scrittore invece si presenta ora multiforme, non solo sadico o sadiano: faceto, tragico, e dell’horror. Di più con le ambivalenze della neo retorica: ateo-mistico, rivoluzionario-feudale, liberale-fascista, comico-psicopatico Ma più di tutto e sempre ateo professo e metafisico del male. “Imprendibile”, lo dice qui la biografa Chantal Thomas: “Romanziere, filosofo, architetto e scenografo, Sade espone e difende un libertinaggio che non ha nulla di frivolo…. Murato nella visione feudale della sua origine, vi sviluppa la coscienza di essere imprendibile. È l’uomo della fortezza”. Ma non, evidentemente, irrecuperabile.
Filosofo lo vuole soprattutto il dossier, è la sua novità. La “pietrificazione” di Man Ray ha bizzarramente influenzato anche i pensatori che lo hanno riscoperto dopo Pauvert, da Klossowski e Blanchot, e Lacan, Foucault, Deleuze. Foucault prima pro poi contro, dopo aver lasciato singolarmente fuori dalla “Storia della follia” Sade al manicomio di Charenton, dove volle un teatro, aperto al pubblico, che animò lungamente, dal 1805 al 813, un precursore e un rivoluzionario. Ora non più: filosofo della distruzione – “rischiando di trionfare dacché l’umanità lavora a autodistruggersi a breve termine” – lo certifica lo  psicoantropologo Pierre-Henri Castel in “Sade à Rome”. Che “i passaggi erotici e crudeli”, pur elaborati, insistiti, interminabili, dice “degli antipasti”. Ben prima delle catastrofi nichilistiche del Novecento. La sua Società degli Amici del Crimine si voleva non un espediente narrativo ma una setta e una scuola: che il Male, natura intima del cosmo, si prone di mettere a nudo e imporre. La natura implicitamente autodistruttiva del mondo confinato a se stesso portando alla sua lineare conseguenza, nella linea ragionativa dell’illuminismo. Una sorta di anti Rousseau, di uno che certamente ha letto Rousseau. Sollers l’aveva già detto: Sade non si può scrivere altrimenti che in francese, perché è l’altro lato dell’illuminismo, c’è il lato giorno, Voltaire, e c’è il lato notte.
Un altro Sade si costruisce, dell’esondazione della ragione. Resta da stabilire se è filosofo suo malgrado. Malgrado le digressioni filosofiche, finora giudicate delle intrusioni nelle figurazioni erotiche, prolisse più che argomentate e proditoriamente sistematizzanti. E “La filosofia nello spogliatoio”, sottotitolo “Gli istitutori immorali”, in sette “Dialoghi destinati all’educazione delle signorine”, che si legge come una parodia. Essendo egli un depravato e un visionario. O se è un visionario per programma filosofico. Sade, inutile dirlo, lo pretendeva. In un appunto che Gilbert Lély ha pubblicato nella raccolta di testi rari, “Portefeuille”, si mette con Galileo: “Galileo fu perseguitato per aver scoperto i segreti del cielo; alcuni ignoranti furono i suoi boia. Io lo sono per aver rivelato i misteri della coscienza degli uomini, e alcuni sciocchi mi tirannizzano”.
Que faire de Sade?, “Le Magazine Littéraire”, novembre, pp. 64-97, il. € 6,20

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