L’Eni,
che dopo aver guadagnato l’inguadagnabile in quarant’anni di maggior
importatore del gas russo, si proponeva a suo distributore in Europa, con
Gazprom naturalmente, è accantonato. A vantaggio di altri operatori, tedeschi,
olandesi e francesi. È tutto qui l’abbandono del South Stream, il gasdotto via
Mar Nero, in tutti i suoi riflessi, e suoi protagonisti palesi: Bruxelles, cioè la
Germania, la Bulgaria (la Bulgaria!), gli Usa, e da ultimo Putin, cioè Gazprom,
che ha cancellato l’opera. L’Eni, cioè, l’Italia, ha fallito l’occasione, e
Gazprom gioca da sola, con la galassia germanica.
Come
sempre avviene quando il gioco in campo internazionale si fa duro, l’Italia
viene accantonata. Gioca di minuetto, in una rete di pace o negli interstizi
dei conflitti, quando questi dormono. Quando si acuiscono, ai primi scossoni
della bestia viene disarcionata. In questo caso si vede perché ci ha provato a
lungo e con insistenza.
Lo dice Medvedev, l’ex presidente russo
ora primo ministro, controfigura di Putin, ma non per questo non è vero: l’abbandono
di South Stream, il gasdotto dalla Russia all’Italia via Mar Nero, è causato
dal fatto che la Bulgaria, sotto pressione da parte degli Usa e della Ue, ne ha
bloccato la costruzione. È vero tutto, e si sa anche il perché.
La Bulgaria. Due
anni fa ci aveva provato Napolitano. Che ricevette a Roma al suo primo viaggio
all’estero il neo presidente Rosen Plevneliev, e
subito poi ricambiò la visita. Renzi ci ha provato sei mesi fa subito dopo la
vittoria alle Europee. Al primo vertice Ue a Bruxelles, due giorni dopo il
successo elettorale, aveva incontrato chi fra tutti? Il primo ministro
bulgaro Plamen Oresharski. Per sottolineare “l’importanza dei temi energetici e
la valenza del progetto South Stream nella prospettiva della sicurezza e
dell’indipendenza energetica del Continente europeo”. Ma niente da fare,
Plevneliev e Oresharski si presero l’appoggio dell’Italia per l’ingresso della
Bulgaria nel perimetro di Schengen (libertà di emigrazione), e non diedero il
gas. Dieci giorni dopo l’incontro di Bruxelles, Oreschalski bloccò la
costruzione del South Stream nelle acque e sul territorio della Bulgaria.
Putin, dichiarando il progetto morto, ha solo preso atto del no della Bulgaria.
Molto
pretestuosa la ragione del no: Bruxelles accusava la Bulgaria di aver dato gli
appalti a ditte esclusivamente bulgare, senza bandi aperti a tutti come prevedono
le normative europee. In realtà Sofia è d’accordo con Bruxelles – che è quanto
dire la Germania. Che possono dare così ragione a metà agli Usa.
Gli Usa sono
infatti apertamente contro gli accordi europei per il gas russo. In alternativa
hanno elaborato un progetto di importazione dall’Azerbaigian, il “Nabucco”, che
però è solo una fantasia della Cia – il gas dell’Azerbaigian e il
progetto. La Germania, che si era
anch’essa incuneata nei nuovi progetti di esportazione del gas russo, in un
Nord Stream dapprima e poi anche nel South Stream, ha realizzato il primo e si
messa a spingere contro il secondo. Il Nord Stream, che porta il gas dalla
Russia allo smistamento via Germania attraverso il Baltico, è stata firmato nel
2005, due anni prima del South Stream, e subito realizzato, nel silenzio degli
Usa: già nel 2011 era in attività, benché abbia comportato il più lungo tratto
sottomarino del mondo per condotte di grosso diametro 1.220 km.
Sotto la sicurezza degli approvvigionamenti, che vuol dire
tutto e niente, c’è di mezzo chi fa affari con la Russia. Qual è il partner che
dà più garanzie. Qual è il partner che si arricchisce di più. Il primo accordo
occidentale per il gas russo fu voluto e sottoscritto dall’Eni. E fu concluso
nel 1968, prima e dopo – malgrado – l’invasione di Praga.
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