Tra
le grate di un harem, che una circassa dagli occhi verdi buca, e la vita libera
dell’amore, tra una guerra che avvicina e una che allontana, l’apprendistato
erotico di un ufficiale della Marina francese, attento alla meteorologia.
Attorno al 1880, quindi con molte tele di fondo e quadri di genere, mobilio per
lo più, e abbigliamento. Tra Salonicco e Stambul, in una Turchia che
l’ufficiale, la Marina e lo scrittore privilegiano nel conflitto con la Russia.
Anche per i ritrovi che offre di adolescenti disponibili – maschi. Una storia
dunque con tutti i sapori dell’esotismo, una mistica che imperverserà fino a
Kessel e Lawrence d’Arabia.
In questo suo primo romanzo il futuro normatore dell’orientalismo,
il ventinovenne Viaud-“Loti”, celebra
anche la democrazia “tutta islamica” delle frequentazioni miste. Al punto da
far opinare ai Goncourt nel “Diario” e a Barthes - che l’aveva in antipatia - nel
“Grado zero della scrittura” che Aziyadé sia un bel giovane. Ma è ben una donna
– reale anche, si chiamava Hatidjé. E Loti è uno che, in giro spesso con la
Marina, ovunque si sposava, dal Giappone ai Paesi Baschi, e qualche volta
faceva figli.
No, la “colpa” di Loti è l’invenzione dell’Oriente, dopo il fumato
Nerval. Tanto più che ad Aziyadé, che poi si porterà dietro nella bara, fa
assicurare dal suo tenente di vascello: “Ti giuro, Aziyadé‚ che lascerei tutto
senza rimorso: posizione, nome, paese, amici. Ma vedi, ho una vecchia madre”.
Già
edizione di culto Franco Maria Ricci nel 1971, consigliato probabilmente da
Borges, o da Giovanni Mariotti, il racconto è ritradotto e presentato per Leone
da Luigi Marfé, con ampi riferimenti ai suoi continui successi. È vero. Ma c’è
anche da dire che Loti e scrittore “squisito” per Mallarmé, e ha insegnato a
scrivere a Proust - e a Gide, che aveva due anni più di Proust.
Pierre Loti, Aziyadé, Leone, pp. 217 € 12
Asterios, pp. 224 € 15
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