Si ripropongono i temi
familiari a Irène Némirovsky, già variamente tradotti in altre edizioni – qui
da Simona Mambrini, che ne sveltisce i ritmi. La famiglia è anche il tema
prevalente fra i racconti qui raccolti.
“L’Orchessa”,
che uscì il 24 ottobre 1941 su “Gringoire”, rivista peraltro antisemita, sotto
lo pseudonimo Charles Brancat, a causa delle leggi razziali che impedivano alla
scrittrice di pubblicare, è sul rapporto madre-figlia, tema inesausto di Irène
Némirovsky, per ogni verso soffocante. In questa raccolta è il tema pure di
“Ida”, in filigrana: la fine delle illusioni con l’età – la madre di Irène non
voleva invecchiare. Così come vi si adombra l’altro suo tema ricorrente,
l’insofferenza per l’ebraismo: qui con compassione, ma sempre con la sorpresa
di doversi sentire in colpa per questo. Irène Némirovsky ne subì il pregiudizio
nell’infanzia a Kiev, tra i pogrom contro gli ebrei, nel’isolamento della
famiglia ricca, e poi sotto forma di diffidenza nella libera Parigi. Per una
“identità di sangue” che, senza pregiudizio, sentiva però come una gabbia e un
limite. Non per colpa ma per la forza dell’abitudine, del pregiudiziale “noi e
loro”. La scrittrice credeva alla Francia, all’Europa, alla libertà: la
denuncia nello sfollamento e la deportazione - probabilmente anche la morte a
Auschwitz - la sorpresero.
“La confidenza” narra le sottigliezze
dell’amore mescolate al pigmalionismo. Che non può mutare le nature:
l’ambizione, la bruttezza acuta, acuminata, la bellezza sciocca. Con “La
confidente”, altro raccontò uscito su “Gringoire, il 20 marzo 1941,
firmato “Pierre Nerey”, siamo di nuovo
nell’ambito delle estraneità tra familiari, per cui la più insignificante
badante sa e sente di più. “Domenica” è quella dei fratelli che si ritrovano con le consorti attorno
alla vecchia madre. Un’occasione doverosa più che lieta: tutti “provano
l’indicibile fatica che s’impossessa dei membri di una famiglia quando si
trovano riuniti insieme da più di un’ora”. Per quell’indissolubile legame che,
pur in mezzo a esperienze e ambizioni diverse, li soggioga. È insieme la
critica e la nostalgia della famiglia: l’infelicità dell’amore nel giorno della
festa, l’attesa gioiosa della figlia all’appuntamento mancato, il ricordo delle
attese felici della madre, che il marito lascia per correre dall’amante, la
madre che “non ama l’amore”, non più.
“Legami di sangue” – un
racconto lungo che troverà un’architettura più solida nel romanzo “Il calore
del sangue”, uno dei meglio riusciti – mescola i due temi dominanti: tratta i misfatti
della consanguineità, dei legami familiari, anche se senza colpe specifiche. Nella
coppia la consanguineità fa inevitabilmente aggio sull’affetto (rispetto)
reciproco - lo stesso nella parentela e nella società.
Niente aneddoti
sorprendenti, ma un tono accattivante: lieve, vero. Qualche volta insistito, ma
raramente, a volte scherzoso. Che alla lettura dà l’impressione di futile. In
questa raccolta anche di ripetitivo, omogeneo – mentre la cifra della
narratrice è variatissima. Ma è un’apparenza: è la qualità della scrittura,
nascondersi dietro questa apparente semplicità. Che è forse il solo modo di
narrare quello di cui Némirovsky è specialista, il quotidiano. Rilevarlo
dalla-nella sua sordidezza.
Irène Némirovsky, L’orchessa, Adelphi, pp. 260 € 18
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