Dante – Ritorna islamico con
l’attualità? Carlo Ossola lo ripropone – ripropone Asín Palacios, “Dante e
l’islam” - con una nuova prefazione che non aggiunge nulla, e non chiarisce i
problemi posti dalla precedente (http://www.antiit.com/2012/02/linferno-di-maometto-per-dante.html)
“Ogni
volta che il Macedone è alle porte risorge la domanda sulla giustificazione
dell’otium filosofico e
letterario, e ogni volta Diogene cade nella tentazione di lasciarsi andare
all’attivismo”, spiegava Ranuccio Bianchi Bandinelli, antichista, compagno, e
interprete di Hitler nella trionfale visita in Italia, tra Roma e Firenze, del
maggio 1938.
È
diventato un “fatto” popolare, di divismo, con i recital di Benigni, in tv e
sulle piazze. E nuove edizioni, oltre che studi e simposi, anche in fumetti, in
docufilm e in film, si preparano l’anno venturo per i 750 anni della nascita.
Ma già dieci anni fa, il 2005, era stato un anno incongruamente dantesco. Senza
alcuna ricorrenza, cioè. Anzi, doppiamente incongruo: il revival venne
sull’onda del patriottismo che il presidente Ciampi aveva riproposto con largo
consenso – la via migliore per superare gli odi politici. La “Divina Commedia”
divenne un gadget per le vendite di “Repubblica” e “Panorama”, giornali
peraltro tra i più diffusi. Si serializzò perfino l’“Enciclopedia Dantesca”,
molto erudita e perfino illeggibile. L’Agenda Letteraria Scheiwiller fu
proposta su Dante. Si misero in cantiere, per le prossime celebrazioni della
nascita, nuove edizioni critiche della “Commedia” e delle “Rime”. Si può dire
il “paese profondo”, che resiste alla dissoluzione. Certamente il revival
risponde a un bisogno di identità.
Gelosia – È l’unica forma di passione in Prosut, nella “Ricerca”, nella lunga
storia di Albertine. Non ritracciabile nella biografia, ma come e come biblica
sì, sia pure senza rimandi testuali: è il Dio di Mosè che si vuole “geloso”.
Leopardi – Paesano e cittadino, lo
rappresenta C.Alvaro, “Itienrario italiano”, p. 289. Cittadino per
essere paesano, marchigiano. Da qui “uel fuggire la propria terra” e il
“rimpiangerla di continuo, e tornarvi, e ripartire”. All’ombra urbana,
cosmopolita, del papato, evidentemente, Nei suoi luoghi Alvaro non ci trova “un
solo accento popolaresco”, a differenza dal contiguo Abruzzo – d della Romagna?
“Ci si sente la Marca papale, le fortune maturate discretamente all’ombra della
Chiesa, che hanno radunato nelle vecchie case i vecchi libri, i vecchi mobili,
i vecchi orgogli, e le vecchie tirannie familiari”. È ui il mistero del
“ragazzo solitario”, che, “chiuso nella sua stanza, nella biblioteca sotto gli
occhi dl padre severo che lo sorvegliava dal suo tavolo”, venne a capo di
“molti segreti del mondo grande che non aveva ancora visitato, e del mondo
avvenire”. Il suo “pittoresco” è “la sua intimità, il suo rapporto stretto con
la sua terra”. È per questo che la sua poesia – come la sua filosofia – ha il
rilievo fermo di un mondo fermo”.
Libertinismo – Come libido di libri? È l’ipotesi di Abnousse
Shalmani, al centro (p. 174) del suo “Khomeini, Sade e io”, sulla vita a Teheran
e Parigi oppressa dai “barbuti” e dall’esilio e liberata dalle letture, fino a
Sade: “Mi sembra evidente che la lettura assidua della letteratura libertina
abbia creato, tra l’oggetto libro e me, una relazione carnale che mi ha
profondamente segnata, abbastaza perché divenissi incapace di vivere senza
libri, senza la presenza fisica dei libri”..
E ancora: “Il libro è divenuto indispensabile alla mia sopravvivenza
solo quando si è fatto carne”. E viceversa: “Vivere circondata di libri è
essenziale al mio equilibrio. Di nuovo, non ridete: non avete letto la
letteratura libertina, non sapete ancora di cosa sono capaci i rivoluzionari
del secolo dei Lumi quando si tratta di trasformare le parole in carne e la
carne in parole”.
Oriente – Ha origini letterarie. Nella storia voluta da
Augusto per battere Marc’Antonio nel suo bunker orientale, tra Siria e Egitto.
E nella sua riscoperta nel Cinquecento, da Postel in poi.
È creazione occidentale, Said, “Orientalismo”, sfondava una porta
aperta. Lo diceva già E.M.Forster circa nel 1935,
che “l’Oriente è tornato a Oriente passando per i sobborghi londinesi, e
durante quella deviazione è diventato ridicolo”. Sobborghi di Londra e di
Parigi, le capitali della letteratura. Nerval un secolo prima si lasciava
snervare dal Ramadan, “sarebbe impossibile dare un’idea dei piaceri di
Costantinopoli durante il Ramadan”, al punto da uccidersi. Per un decennio
aveva elaborato le ventotto notti insonni, fra cibo, fumo e donne, del mese del
digiuno, con “Le donne del Cairo”, “Le donne del Libano” e “Il viaggio in
Oriente”. Ma chi ha vissuto il Ramadan sa che fuoco d’immaginazione ci vuole
per bearsene. Pure Loti aveva celebrato questi piaceri, ma onesto parlava di
Stambul e non di Costantinopoli, dopo essersi corazzato di solitudine e
silenzi. L’Oriente non esiste, la dolcezza di vivere, l’informalità, la
passione segreta. L’Oriente è polvere, sporcizia e povertà. Non migliore
dell’Occidente - e perché dovrebbe? Invenzione del turismo, per il bisogno di
svago dell’uomo bianco affardellato. Dopo aver creato se stesso, l’Occidente
non ne poté più, e guardò a Oriente. Più si definisce – si restringe – più
l’Occidente s’inventa mondi diversi.
In
base alla teoria delle lingue russoviana l’occidentale è sceso dall’albero più
tardi, e per questo parla ancora gesticolando, mentre l’Oriente è invece grave
e breve. E ha linguaggi ricchi di tropi: figure, metafore, parabole,
similitudini e comparazioni. “Giudicare gli orientali dai loro libri”, assicura
Rousseau, “è come dipingere un uomo dal suo cadavere”.
Loti, scrittore “squisito” per lo squisito
Mallarmé, precursore pure in questo (è lo scrittore che insegnò a scrivere a
Gide e a Proust), per fumare s’inventò l’Oriente.
Potere – Si può dire che connoti le lettere italiane, ne è il segno. Rispetto
al mondo anglosassone per esempio. O alla stessa Francia, su cui da alcuni
secoli l’intelligenza italiana si conforma. Che ha lunga e rispettabilissima
linea di letterati e pensatori immuni al potere, e anzi ostili: Simone Weil e
Camus, o Flaubert e Maupassant, perfino Zola, e lo stesso politicante Victor
Hugo. Come la grande letteratura russa, Puškin compreso – con l’eccezione di
Gogol’. Simone Weil (“Écrits historiques”, 54) ne fa un segno distintivo della
tradizione francese: “La Francia ha avuto molti spiriti di prim’ordine che non
sono stati né i servitori né gli adoratori della forza. Dal XIV al XVII secolo,
Vilon, Rabelais, La Boétie, Montaigne, Maurice Scève, Agrippa d’Aubigné,
Théophile (de Viau), Retz, Descartes, Pascal, così diversi e di reputazione disuguale,
hanno avuto questo in comune oltre il genio”.
Da noi invece “tutti quanti” vi si conformano: Leopardi, Manzoni, Carducci,
Moravia, Ungaretti, Quasimodo, Montale, lo stesso Gadda. Il futurismo,
Bontempelli, Sciascia. Più in là Dante, Petrarca, l’Aretino, Tasso, lo stesso
Belli. E i tanti scrittori contemporanei, obbligati a vivere della Rai, cioè
dei partiti, e dei giornali, cioè delle banche e dei partiti, nonché dei premi,
le congreghe, le cordate, cioè di nuovo fei partiti, i grandi collettori dei
fondi pubblici.
Ne sono fuori Palazzeschi, Luzi, chi altro? Pasolini naturalmente,
Calvino. Ai loro tempi Berni forse, benché servitore di prelati, e l’Ariosto,
benché funzionario pubblico, un prefetto dei tempi.
Croce, Gramsci, Gentile ne hanno fatto professione. Col Marx lenitivo
del dopoguerra campo di macerie, il pensiero debole, il realismo. Fa eccezione
Vico.
Roma – S’inabissa in Germania a fine
Settecento. Sradicata dalla filosofia e la filologia da letterati e pensatori
pastori o figli di pastori, o allievi di teologia, in facoltà di teologia che
divennero definitivamente antiromane nel momento in cui abbandonarono il latino.
Roma è stata rifiutata più che condannata, e senza esame. L’antiromanità e il
fantomatico grecismo saranno presto il verbo dell’università, fino a Heidegger
– che però era cattolico di formazione, figlio di sacrestano e chierichetto – e
Sloterdijk.
Vendite – Si vende molto Craxi, “Io
parlo, e continuerò a parlare”, la sua contesa con Berlinguer e l’infido
Borrelli, anche nelle librerie Feltrinelli. Ma non se ne parla. Mentre si parla
e si scrive molto di Togliatti, risuscitato per il cinquantenario della morte
dall’operoso Canfora tra i classici del Pensiero Occidentale, e dall’editore
Feltrinelli nella vecchia biografia politica di Bocca, 1973, che invece non si vendono.
È vero che i Togliatti costano – e la summa filosofica ha 2.400 pagine.
letterautore@antiit.eu
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