Una celebrazione,
per il cinquantenario della morte. Nella collana di filosofia “Il Pensiero
Occidentale” di Giovanni Reale, platonista cristiano che si voleva rigoroso,
forse convertito da ultimo, prima di morire, al compromesso. Togliatti viene in
coda quest’anno a sant’Agostino, Lessing, Kerényi, Bessarione, Kant, Bachtin,
Heidegger, Eckhart, Gentile. La pubblicazione sarebbe dunque una vergogna, per
l’Occidente e per la filosofia. Ma in un certo senso s’impone.
Pezzo forte della raccolta l’editore
vuole “il celebre «Memoriale»” di Yalta, il saggio-messaggio di Togliatti a un
congresso del partito Comunista Sovietico che doveva scomunicare la Cina di
Mao, pubblicato postumo. Un messaggio che non è niente: una prosa blesa, nessuna
passione, e anche la conclamata intelligenza critica lascia a desiderare. “Le questioni fondamentali del comunismo” e l’“importante pezzo della storia d'Europa” sono in buona parte il “modo
migliore di combattere le posizioni cinesi” – e l’Albania (l’Albania… ). Con dosi
intatte dell’obbligato veterocominformismo: “La crisi del mondo economico borghese
è molto profonda”, il Mercato Comune e la programmazione economica rendono “più
forti le basi oggettive di una politica reazionaria, che tende a liquidare o
limitare le libertà democratiche, a mantenere in vita i regimi fascisti, a
creare regimi autoritari, a impedire ogni avanzata della classe operaia e ridurre
sensibilmente il suo livello di esistenza”. Quante cose insieme faceva questo
mondo in crisi, infaticabile.
E sull’Italia? Silenzio: “Molte cose
dovrei aggiungere per informare esattamente sulla situazione del nostro Paese. Ma
questi appunti sono già lunghi, ne chiedo scusa. Meglio riservare a spiegazioni
e informazioni verbali le cose puramente italiane”. Come i mafiosi prima delle
intercettazioni: niente carte.
Ordinato su sei sezioni, la storia
italiana, il fascismo, la Repubblica, l’internazionale comunista, Gramsci, le
polemiche culturali, il volume non contiene peraltro niente. I responsabili
stessi, onesti o alluvionati, non prospettano molto. Michele Ciliberto, che lo
ha curato con Giuseppe Vacca, dell’Istituto Gramsci, è uno studioso di Giordano
Bruno. Fra i collaboratori, Silvio Pons ha già fatto i conti con Berlinguer, l’erede
di Togliatti. Vacca, Francesco Giasi e Leonardo Pompeo D’Alessandro sono specialisti
di Gramsci. Bidussa un battitore libero, con molto sionismo all’attivo, e un ammirato
“Leo Valiani tra politica e storia” – c’entra in quanto bibliotecario della Fondazione
Feltrinelli, quasi monopolista della documentazione sul socialismo italiano.
Si potrebbe pensare a una proposta
ironica. Ma di 2.400 pagine? Ma un miracolo il libro lo è: sembra impossibile
che si possano mettere assieme tante parole inutili, mentre evidentemente sì. Più
miracoloso ancora se le parole sono rapportate all’azione, mediocre, e alle
stesse cose dette. Si può pure prenderlo per un reperto d’epoca. Ma sarebbe
stato meglio ai mercatini, con le stelle rosse, il berretto di Lenin, e il libretto di Mao,
balordaggini cui si guarda con affezione, come alle tante piccole cose inutili,
quando non sono più dannose.
Una politica – non una filosofia – a
volelro scorrere di cui non si finisce di misurare l’indigenza. O forse in
questo senso è una giusta celebrazione, dopo trent’anni di compromesso storico
tra le forze peggiori dell’Italia, che stanno per eliminarla definitivamente dall’odiato Occidente della affluenza e della civile misura. Per
incapacità di analisi, economica, politica. Per faziosità. A opera delle “due
sole subculture”, come le celebrava Berlinguer, forti del numero ma disastrose,
di furbizia e ignoranza: l’Italia ha retto finché il cappello, se non la sedia,
era agitato dalle culture laiche cui Berlinguer irrideva. Quando il Pci è
riuscito a cancellarle, ha dimostrato – e dimostra – la sua perniciosità. Specie
da quando è in balia delle masse confessionali.
Palmiro
Togliatti, La politica nel pensiero e nell’azione. Scritti e discorsi
1917-1964, Bompiani-Il pensiero
Occidentale, pp. LXIII-2.330 ril. € 55
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